Foto Ansa

il capro espiatorio della bici tricolore

Due ruote sgonfie ai Giochi. Paga Davide Cassani

Giovanni Battistuzzi

Il ciclismo italiano ha fallito? Non c’era nessun progetto da far fallire. E non a causa del ct

Le biciclette a Tokyo 2020 continueranno a muoversi sino all’ultimo giorno, l’8 agosto, ma Davide Cassani non ci sarà, è tornato anzitempo in Italia perché “le regole ai Giochi in tempo di pandemia dicono che, esaurito il suo compito, un tecnico deve rientrare a casa”, ha detto il presidente della Federciclismo, Cordiano Dagnoni, all’Ansa. Una motivazione che sa di prima scusa trovata per  di mettere una pezza. Cassani, oltre a essere il ct della Nazionale maschile di ciclismo è anche il direttore tecnico delle squadre nazionali: giustificare il rientro con un problema di pass non regge. A tal punto che sembra un benservito. “È evidente che un presidente da poco eletto abbia il diritto di farsi la sua squadra”, ha aggiunto Dagnoni.

 

Fosse arrivata una medaglia olimpica l’addio poteva essere meno traumatico. Un bronzo l’ha conquistato Elisa Longo Borghini. Ma  non vale. Contavano gli uomini, sembrano contare solo loro in Federazione. Filippo Ganna è arrivato quinto a cronometro (a 4” dall’argento), Alberto Bettiol 14esimo in quella in linea. E così si è iniziato di parlare di fallimento. Nonostante  non fossero neppure iniziate le gare su pista (e proprio lì possono arrivare le soddisfazioni più grandi), una disciplina che in Italia stava scomparendo, con i velodromi, e che proprio Cassani ha fatto di tutto per evitare che si estinguesse.

 

È andata male, vero, ma non è un fallimento. Non c’era nessun progetto da far fallire. E da almeno un decennio. Cassani ha preso la Nazionale nel 2014 e da allora ha cercato di fare squadra, unica alternativa possibile a un vuoto di prospettiva sistemico che ha cancellato corse (professionistiche e giovanili), squadre, possibilità di pedalare. Tutte le nazioni ora vincenti hanno negli ultimi decenni aumentato i propri iscritti migliorando la sicurezza stradale; nel nostro paese i migliori talenti finiscono investiti dalle auto nel silenzio di chi governa questo sport che al limite sottolinea l’importanza del casco e suggerisce agli automobilisti di tenere una distanza di 1,5 metri da chi pedala. Inoltre l’Italia, un tempo nazione guida del ciclismo mondiale, è dal 2016 che non ha una squadra nel World Tour, la serie A del professionismo. Fare i conti con ciò che non si è fatto è dura. È più semplice trovare un capro espiatorio. Il silenzio e la freddezza dei notabili del ciclismo nei confronti di Cassani dopo le critiche ricevute per le convocazioni e la gestione della corsa olimpica non erano tanto diverse da un’attribuzione di colpa. Poteva andare meglio? Sicuro. Potevamo conquistare una medaglia? No. Sul podio ci sono andati Carapaz, van Aert e Pogacar. Ossia il vincitore del Giro 2019, uno tra i più forti corridori da classiche (e non solo) e colui che ha vinto gli ultimi due Tour. Negli ultimi dieci anni solo tre corridori italiani sono saliti sul podio di un grande giro: Nibali, Aru e  Caruso. Solo sei hanno fatto altrettanto in una classica monumento: Nibali, Bettiol, Rosa, Moscon,  Pozzato e  Ballan (entrambi ritirati). Nonostante i risultati dei nostri corridori, la gestione di Cassani ha condotto l’Italia a vincere tre Europei, a un secondo posto ai Mondiali e a una medaglia olimpica sfumata a Rio 2016 per una caduta.

 

Non è sempre stato impeccabile Cassani in questi anni, qualche errore lo ha commesso. Capita. È riuscito però a ottenere ben più di quello che una nazione in crisi poteva auspicare.

Di più su questi argomenti: