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Smantellare senza provare a ricostruire. Lo smarrimento del Barcellona

Federico Giustini

I balugrana di oggi sono una squadra imbottita di giovani mandati alla sbaraglio. Dare le responsabilità di tutto ciò a Koeman è l'ennesimo atto di questa tragicommedia catalana

Riavvolgendo il nastro dell’ultimo anno e mezzo del Barcellona potremmo scegliere tra decine di immagini per trovarne una che rappresenti il caos economico, societario e sportivo in cui il club è progressivamente piombato. L’ultima, sufficientemente eloquente, potrebbe essere l’ingresso in campo di Gerard Piqué al minuto 75 di un deludente Barça-Granada, con i blaugrana sotto 1-0 e senza più risorse offensive, al punto da indurre Ronald Koeman a schierare Piqué nel ruolo di centravanti. Il gol arriverà al novantesimo con Araujo, un altro difensore spedito in attacco nella speranza di portare a casa un punticino. Un’abiura simbolica, un affronto estetico a chi dello stile di gioco basato sul palleggio ha sempre fatto la sua cifra principale.

Il Barcellona di oggi è una squadra imbottita di giovani prospetti in questo momento mandati alla sbaraglio, con un’infermeria affollata e, soprattutto, priva di quell’identità tattica cruijffiana che nei momenti di difficoltà dovrebbe rappresentare il punto di partenza. Seppur nell’inevitabilità di un ridimensionamento, dovuto a un rosso di bilancio di cui sembra essere emersa soltanto una parte, era lecito attendersi almeno un tiro verso la porta di Neuer nel remake andato in scena una settimana fa - meno tragico solo nel punteggio - del 7-1 inflitto dal Bayern Monaco in Champions nell’agosto 2020. Il 3-0 con cui i tedeschi hanno passeggiato al Camp Nou è stato solo un’ulteriore certificazione di una crisi culminata un mese e mezzo fa con l’impossibilità di tesserare Messi e la necessità di liberarsi anche di Griezmann, a costo di rinforzare dirette concorrenti.

 

Delineare il perimetro delle responsabilità di Koeman per il disastro in atto può risultare uno sterile esercizio. L’olandese è pur sempre il tecnico scelto dalla precedente gestione, la prima nella gloriosa storia del Barcellona che stava per essere mandata a casa dai suoi stessi soci se Bartomeu non si fosse dimesso prima del voto. Koeman è arrivato nel momento in cui stava per avere inizio lo smantellamento - Rakitic, Suarez e Vidal invitati ad accasarsi altrove - e poco prima che Messi, fiutata l’aria di fine impero, chiedesse di andare via con il famigerato burofax. Vincere la Coppa del Re ha permesso a Koeman di salvare la stagione, ma Laporta avrebbe volentieri affidato le chiavi della squadra a Xavi se solo non si fosse dovuto confrontare con un dettaglio poco trascurabile: quei tredici milioni di euro che l’ex ct olandese avrebbe comunque incassato in caso di esonero, tra stipendio e clausola d’indennizzo. Un tema che potrebbe spingere Laporta ad adottare adesso una soluzione interna: Sergi Barjuan, allenatore della squadra B, potrebbe fare da traghettatore (in attesa di Xavi o del ct del Belgio Martinez), oppure l’altro nome che sta circolando in queste ore è quello di Albert Capellas (gradito soprattutto a Jordi Cruijff, attualmente consulente tecnico di Laporta), direttore della Youth Academy del club catalano e in passato allenatore in seconda proprio del figlio del Profeta del gol.

 

Il perimetro delle responsabilità di Bartomeu e della sua Junta Direttiva, invece, dovrebbe invece essere tratteggiato in occasione della prossima assemblea dei soci che si terrà il 16 o il 17 ottobre: Laporta proporrà un’azione di responsabilità nei confronti del suo predecessore, a maggior ragione dopo che saranno rivelati i risultati dell’audit tanto atteso sui conti del club.

Mentre il debito ha raggiunto i 1350 milioni di euro, il piano di Laporta per portare il Barcellona fuori dalla crisi è sembrato consistere, fin qui, solo nella presa d’atto della drammaticità della situazione e nella pervicacia nel seguire il “nemico” di un tempo, Florentino Perez, sulla strada della Superlega.

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