La necessità delle buone impressioni. Il Milan tra i guantoni di Maignan

Giovanni Battistuzzi

I rossoneri battono la Sampdoria per 0-1 dopo una partita scostante. Il portiere nel fine settimana incontrerà San Siro dopo aver fatto capire che se anche Donnarumma è a Parigi la porta è in buone mani

Nel calcio in fondo è sempre meglio presentarsi bene. E il galateo non c’entra. C’entra la sopravvivenza. Questo sport è anche una questione di sensazioni, di affinità e fiducia. Soprattutto per un portiere. Ne va della tranquillità di tutti, giocatori e tifosi. Soprattutto della qualità della vita di un numero uno. E così è d’uopo fare vedere il meglio che si può fare, che a far vedere il peggio c’è sempre tempo. Soprattutto se chi ti ha preceduto non solo era il meglio che c’era in squadra, ma forse il meglio che c’era in giro.

La situazione era grama di suo. Col Gigio a Parigi, in panchina, e i ricordi di paratissime che si mischiano al dispiacere dell’addio. Coi tifosi sugli spalti, occhi aperti e controllare. Con San Siro lontano centinaia di chilometri ma sempre più vicino minuto dopo minuto. “San Siro t’ammazza”, sibilò Mario Barluzzi, portiere rossonero dell’interregno tra Kamikaze Ghezzi e Pennellone Cudicini, che in rossonero divenne molto più aristocraticamente il Ragno nero.

Mike Maignan non è uno che vuole farsi ammazzare. Specialmente al Milan, specialmente da San Siro. Il francese è uno che ha imparato a sue spese le regole non scritte del calcio, che ha preferito andarsene da Parigi per raggiungere i confini della Francia, nel dipartimento del Nord, e senza nemmeno essere appassionato di biciclette e non stravedere per la Roubaix. Ha fatto tutto ciò per parare, pur di parare.

È forte Mike Maignan. O almeno così dicevano dalla Francia, così si vedeva nei filmati di YouTube, perché chi diavolo è che si guarda la Ligue 1. In pochi e quei pochi solitamente non lo sbandierano.

I tifosi lo aspettavano al varco. Volevano capire se e quanto si dovevano fidare.

Se uno fa la figura del pirla al primo appuntamento, resta il dubbio che pirla lo sia davvero e che non fosse solo emozione.

Jens Lehmann era un signor portiere. Aveva riflessi, istinto, era alto, forte e flessibile. Durò meno di sei mesi e cinque partite appena. San Siro lo spappolò. Stagione 1998/1999. Due erroretti al debutto contro il Bologna, fortunatamente senza prendere gol, ma buoni per accendere il biasimo della curva. Poi ne arrivò uno alla seconda giornata. Infine il disastro in casa contro la Fiorentina. Tre gol sul groppone e sulla coscienza e la sensazione che tutto per lui era finito. Colpa della cattiva presentazione, non solo delle prestazioni.

Maignan non correrà questo rischio. La prima è stato il miglior biglietto da visita possibile. Almeno quattro interventi d’alta scuola, due tra questi di quelli che piacciono ai tifosi perché necessari.

Foto LaPresse

Il Milan contro la Sampdoria ha vinto 0-1, ha giocato a tratti bene e a tratti male, è andato in vantaggio, ha rischiato in più occasioni di raddoppiare e allo stesso tempo di venire ripreso, di ritornare nella modalità tardo invernale dello scorso campionato, quando (quasi) ogni gol comportava una rimonta. Rimonta che questa volta non c’è stata. Maignan quello che doveva parare l’ha parato, anche qualcosa che poteva anche non parare, tipo al 17esimo minuto sul tocco ravvicinato di Colley. Poco prima aveva anche lanciato con i piedi Calabria sulla fascia, che aveva lanciato Brahim Diaz al centro, che aveva fatto gol. Buon per lui, buon per i rossoneri.

Le presentazioni tra Maignan e i tifosi del Milan sono state fatte, ma a distanza. Ora tocca a San Siro, per la seconda e ultima e necessaria dimostrazione sul campo. Ogni acquirente ha il diritto di toccare con mano un elettrodomestico. Pure i tifosi, ormai relegati dalle squadre al ruolo di consumatori, hanno quello di testare il loro cancello elettrico per sigillare la porta. Sembra affidabile, sicuro, convinto. Lunedì sera ha cercato con gli occhi i tifosi, ha sorriso loro, gli ha dato appuntamento nel salotto buono di Milano, ha detto loro che in fondo era contento di essere lì e che si sarebbero divertiti assieme. Mica servono le parole a volte.

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