Paul Ellis/Pool via AP

Gigio e gli altri. A volte per essere grandi e vincere serve anche questo, rincorrere i soldi

Antonio Pascale

Non buttiamo tutto nella solita caciara all'italiana. Questa nazionale mostra la consapevolezza di un salto di status: è il momento di diventare professionali anche nel rapporto con la ricchezza

Un po’ come succede per le nuvole: le guardiamo e sullo schermo proiettiamo i nostri desideri e aspettative. Così è per la nazionale italiana di calcio. Proiettiamo sullo sfondo azzurro una storia che dice molto di noi. Di volta in volta e negli anni si è parlato di giocatori in mutande, svogliati, campioni presuntuosi, ora invece celebriamo il riscatto dell’Italia: l’Italia che riparte, l’Italia di Draghi, senza politici di punta e senza punte ma che grazie alla bravura e capacità empatica di Mancini riesce a far squadra.

 

E infatti le emozioni non sono mancate, profonde, da cardiopalma, ogni volta in goal ci va quello che non ti aspetti, segno che l’ingranaggio funziona e gira a dovere, ogni minuto ha il suo perché, ogni ora il suo senso. Mancini l’ha dichiarato con orgoglio, dopo la vittoria con la Spagna, quando l’intervistatore gli ha detto: in fondo è una vittoria all’italiana! Allora l’allenatore l’ha guardato male, si è indispettito. Cosa intendeva dire: all’italiana? Cioè? Arrangiarsi e poi dare il colpo di grazia o di genio? Ecco, non è questo che si vuole celebrare, anzi stiamo festeggiano un’altra Italia, diversa da quelli che vincono all’italiana, parliamo del successo di un gruppo da prendere come esempio. Siccome la nazionale è un po’ come le nuvole, allora la guardiamo e ci sentiamo tutti nazionali e magari, chissà, dopo i festeggiamenti faremo gruppo e vinceremo anche noi la coppa.

 

Il fatto è che in questi casi, anche se ci metti cautela, vuoi per la passione calcistica, vuoi per le conseguenti emozioni da gioco e metti anche il fascino di certe telecronache che sembrano componimenti sovietici futuristi, ecco, se consideriamo tutto questo vediamo l’ombra della retorica in agguato: ci salta addosso e ci imbambola. Proprio per questo, insomma per sfuggire alla paralisi retorica suggerirei di vedere un altro aspetto che ora nella frenesia non abbiamo sotto mano: l’avidità. Sì, quella di alcuni giocatori che rincorrono i soldi e dei loro agenti che spingono sull’acceleratore per alzare il cachet, l’ingaggio. Quella avidità che in altri tempi ci fa dire che i suddetti nazionali sono in pratica dei cinici super pagati per dare 4 calci al pallone, ecco, quell’avidità ora è stata accantonata. Invece fa bene inserirla nel racconto che in questi giorni faremo: a volte per essere grandi e vincere serve anche questo, rincorrere i soldi. Per carità, con la necessaria ironia di sottofondo ma i soldi portano con sé un consapevolezza e predispongono un cambio di status.

 

Nella speranza che tutto ciò si tiri dietro maggiori responsabilità e impegno. Come dire, parliamone anche ora, con allegria e senza invidie perché ne abbiamo parlato per tutto l’anno: non preoccupiamoci tanto dei soldi e delle presunte avidità degli altri, teniamo a mente che su quello schermo proietteremo anche le nostre ambizioni più sfrenate, i nostri sogni e le conseguenti avidità. Non vergogniamoci e non ovattiamo tutto nella caciara Poo po po po po poooo poo, quella sì all’italiana. Proviamo però in a fare girare i soldi per tutti, ognuno secondo i suoi bisogni e le sue capacità, ma facciamo in modo che l’Italia diventi professionale anche nel rapporto con i soldi.