Il Foglio sportivo
Paralimpiadi d'Italia. Tutti i protagonisti
Saranno 113 i nostri atleti e molti ambisco a una medaglia. Cosa possiamo aspettarci dagli Azzurri a Tokyo (nel nome di Alex Zanardi)
Gli atleti paralimpici oggi sono molto probabilmente quelli che interpretano meglio lo spirito olimpico di de Coubertin. Per loro l’importante è davvero partecipare. Quando poi si staccano dai blocchi di partenza e cominciano le loro competizioni, diventano uguali agli altri. Pensano solo a vincere. A portarsi a casa una medaglia che in molti casi vale doppio. Perché non significa soltanto aver vinto una gara sportiva. Significa anche aver dato un senso alla propria vita, esser riusciti a trasformare in energia positiva la sfortuna. L’uomo che meglio rappresenta tutto questo a Tokyo però non ci sarà. Sta lottando contro l’ennesimo colpo che avrebbe mandato ko chiunque. Alex Zanardi mancherà a tutti in quella che sarebbe stata la sua ultima Paralimpiade. Da Londra era uno degli uomini di punta del movimento, uno di quelli che ha aiutato ad accendere i riflettori sul movimento paralimpico di Luca Pancalli, uno che le Paralimpiadi le ha vissute anche da atleta e aveva un sogno, sfruttare quelle di Roma 2024 per ridisegnare la sua città e abbattere molte barriere. Dovrà continuare a sognare.
Per adesso si limita a sognare un medagliere sui livelli di quello di Rio quando gli azzurri conquistarono 39 medaglie (10 d’oro, 14 d’argento e 15 di bronzo) concludendo al nono posto assoluto.
A Tokyo gli azzurri saranno 113 con la selezione femminile (60) più numerosa di quella maschile (53). “Un risultato che testimonia la crescita del movimento paralimpico italiano sia sotto il profilo dei numeri e della rappresentanza di genere che dal punto di vista della competitività”, ha detto Pancalli quando ha accompagnato la squadra dal presidente Mattarella per prendere in consegna la bandiera che sfilerà alla cerimonia inaugurale. La porteranno Bebe Vio e Federico Morlacchi, scelti come Jessica Rossi ed Elia Viviani per sfilare davanti a tutti con il tricolore. Speriamo solo abbiano più fortuna.
Bebe è un’altra di quelle atlete andate oltre il suo sport. Con la scherma paralimpica è entrata nel medagliere, con la sua voglia di vivere e la sua energia è entrata nel cuore di tanta gente allargando la platea di coloro che adesso vedranno le Paralimpiadi in tv grazie alla Rai che non avrà i paletti dell’Olimpiade appena conclusa e potrà sfruttare tutti gli strumenti a sua disposizione. Con la sua associazione proverà ad andare oltre l’impossibile e in pedana ad abbinare la sciabola al fioretto.
Federico Morlacchi a Londra 2012 conquistò tre bronzi in piscina, a Rio si è preso un oro e tre argenti. Nel frattempo si è anche laureato. “A tutti manca qualcosa, a me mancano 30 centimetri di gamba”, racconta. Colpa di un’ipoplasia al femore sinistro che non lo ha mai fermato. All’inizio gareggiava addirittura contro i normo dotati. E vinceva pure spesso. Oggi è la stella della piscina azzurra e trascinerà verso le medaglie Simone Barlaam, sette volte campione del mondo, otto volte campione europeo. Un vero fenomeno dicono gli esperti. È un ragazzo del duemila, studente di ingegneria, anche lui come Morlacchi affetto da ipoplasia al femore destro. A Tokyo potrebbe far saltare il medagliere. Simone ha cominciato a combattere quando era ancora nella pancia della mamma: femore fratturato ancora prima di nascere… “Siamo un modello sociale. È bello quando bimbe e bimbi che, attraverso la tua storia, superano paure e non si vergognano della loro disabilità, fieri di ciò che sono”, dice lui orgoglioso di essere un atleta.
Se Jacobs è l’italiano più veloce del mondo, Martina Caironi da Londra 2012 è l’italiana più veloce al mondo sui 100 metri. La sua vita è cambiata per sempre quando aveva 18 anni. Un incidente in moto con suo fratello dalle parti di Bergamo. Travolti da un pirata della strada. Gamba amputata sopra il ginocchio, la prima al mondo nelle sue condizioni a correre i 100 sotto i 15” e a saltare più di 5 metri nel lungo. Su di lei hanno già prodotto due documentari. La sua è una storia trascinante. Ha coinvolto anche Monica Contrafatto, la bersagliera di Gela che nel 2012 in Afghanistan ha rischiato di morire, vittima di un attacco talebano mentre, durante la sua seconda missione in quel paese, prestava servizio con il Primo Reggimento Bersaglieri. Nell’estate di quell’anno, mentre era in ospedale a cercare di recuperare dopo l’amputazione della gamba destra, la sostituzione dell’arteria femorale e due delicate operazioni all’intestino e a una mano (“Poteva andare peggio”, dice lei trasmettendo forza al mondo), vide in tv Martina correre e vincere ai Giochi di Londra. Non sapeva che cosa fossero le Paralimpiadi. Da quel giorno si è costruita un sogno: ci voglio andare anch’io. A Rio è salita sul podio dei 100 con Martina vincendo il bronzo. A Tokyo ci riproverà anche se ormai ha 40 anni.
Un’altra ragazza che da Tokyo dovrebbe portarci a casa l’oro è Assunta Legnante, una che dopo aver assaggiato le Olimpiadi ha cominciato a gettare il peso alle Paralimpiadi, ma anche una che ridendo dice: “Mai visto una gara di getto del peso per ciechi. A pensarci bene, non la vedrò mai...”. Perfetto humor zanardiano. Assunta ha perso la vista progressivamente, ma non ha mai perduto la voglia di fare sport raggiungendo risultati inavvicinabili per tutti. Senza Zanardi il ciclismo azzurro ha in Luca Mazzone la sua stella. Tetraplegico da quando aveva 19 anni per un tuffo maledetto nel magnifico mare della sua Puglia. “All’inizio ho faticato, poi ho capito che non potevo arrendermi, era la mia vita”, racconta. La sua ispirazione è stato direttamente Luca Pancalli, l’atleta Pancalli ad Atlanta 1996, non il presidente del comitato paralimpico. Ha cominciato a vincere medaglie, ma l’oro è arrivato solo a Rio nell’handbike che prima era solo uno strumento d’allenamento e poi è diventata la sua arma in gara con l’aiuto e la spinta di un altro fenomeno come Vittorio Podestà, l’uomo che ha indicato la via anche a Zanardi incontrandolo per caso in un Autogrill. “Chi sarà quel bischero che occupa con una mega Bmw il posto per handicappati… adesso lo aspetto e gliene dico quattro”. Era Alex. Scoppiò l’amore. Perché nelle storie degli atleti paralimpici ce n’è davvero tanto. Soprattutto per la vita.
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