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Italia-Inghilterra, la regola del 24

Gino Cervi

Dalla provincia a Wembley. Quelle volte che gli Azzurri batterono gli inglesi a casa loro: ogni ventiquattro anni. L'ultima volta è stata nel 1997, ventiquattro anni fa

La sera del 14 novembre 1973 allo Stadio di Wembley mancavano poco più di cinque minuti al termine della partita quando gli inglesi si accingevano a battere l’ennesimo calcio d’angolo. Inghilterra-Italia era un’amichevole, ma agli inglesi bruciava ancora l’affronto subito nello stesso stadio poche settimane prima da parte del portiere Tomaszewski, “un clown da circo coi guanti”, che parò tutto il parabile e inchiodò il risultato sull’1-1. Era ciò che serviva alla Polonia per far fuori con gran scalpore l’Inghilterra dalle qualificazioni per il Mondiale di Germania 1974.

Ancora rabbiosi di sdegno, “i maestri del football” schiacciarono per tutta la partita gli azzurri in una sola metà del campo, con San Dino Zoff a fare i miracoli. L’ultimo fu proprio una smanacciata sopra la traversa di un lento ma insidioso spiovente di Madeley: diciottesimo corner per i Leoni d’Inghilterra che fino a quel momento avevano ruggito invano.

Il tiro dalla bandierina di Currie trovò solo un innocuo colpo di testa di McFarland e il gioco ricominciò, ormai agli sgoccioli, con una rimessa dal fondo. Zoff, senza saperlo, avviò una “costruzione dal basso” battendo il rinvio su Causio che ben sapeva invece di essere un tornante e per questo era lì sul lato corto dell’area. Il Barone passò a Rivera, da cui tutti si sarebbero aspettati un lancio. Invece appoggiò di lato a Spinosi che, di nuovo a sua insaputa, verticalizzò invitando Capello a varcare la linea di metà campo. Capello evitò un contrasto aprendo largo all’ala per Chinaglia. Long John puntò McFarland, andò sul fondo e lasciò partire un tiro-cross. Shilton intercettò ma non trattenne e servì un involontario assist a Capello, nel frattempo avanzato fino al limitare dell’area piccola. Quasi in una contorsione innaturale, Fabio offrì il piatto destro alla respinta veloce. Fu come il gesto di uno delle centinaia di camerieri italiani che in quegli anni porgevano migliaia e migliaia piatti e vassoi nei ristoranti londinesi: ma più beffardo. La palla rotolò in rete, gli azzurri si abbracciarono, gli inglesi ammutolirono. Era la prima vittoria della Nazionale azzurra in terra d’Albione.

Ventiquattro anni dopo, il 12 febbraio 1997, gli azzurri tornarono a Wembley a giocarsi contro gli inglesi la qualificazione ai Mondiali di Francia. L’Italia era quella dei Maldini, Cesarone in panchina e Paolino in campo, insieme a Peruzzi e Cannavaro, Albertini e Ferrara; l’Inghilterra ha Sherarer e Ince, Le Tissier e il giovane Beckham. I padroni di casa erano i favoriti, ma ci temevano. O meglio temevano soprattutto quel giocatore che avevano imparato ad ammirare e ad amare nel loro campionato. Da un anno era andato a giocare nel Chelsea Gianfranco Zola, presto soprannominato “The Magic Box”, per le magie che era capace di tirare fuori a sorpresa dai suoi 168 cm di fantasia. E gli inglesi non si sbagliarono. Al 19’ del primo tempo, dalla linea del centrocampo Costacurta lanciò lungo. Zola si materializzò al limite dell’area inglese, controllò la palla col sinistro spostandosela sull’esterno e poi di destro lasciò partire una saetta che pietrificò il portiere Walker sul primo palo. Un lampo. Una folgore. Il temporale inglese per il resto della partita non produsse nessun gol, anche grazie a Peruzzi che, ventiquattro anni dopo, si travestì da Dino Zoff.

 

Dal momento che sono passati proprio altri ventiquattro anni, domenica sera sul palcoscenico di Wembley, per finale dell’Europeo a Wembley, chi saprà invece travestirsi da Fabio Capello, da Pieris, provincia di Gorizia, figlio di Guerrino, maestro elementare, e di Evelina, casalinga; o da Gianfranco Zola, da Oliena, provincia di Nuoro, figlio di Nennedda e Ignazio, una vita a lavorare al bar del paese?

Forse Ciro Immobile, da Torre Annunziata, tra il Vesuvio e il golfo di Napoli; o Andrea Belotti, da Calcinate, nella Bassa Bergamasca? Sarà Bryan Cristante, da San Vito al Tagliamento, un altro friulano come Capello – anche se sento già Gioannbrera sacramentarmi dietro per aver confuso un bisiaco con un furlan… - o Nicolò Barella, sardo, anche se cagliaritano e non barbaricino come Zola? 

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