Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Azzurro Londra

Alessandro Bonan

C’è un’Italia che scende in campo a Londra, sul prato verde, dentro la storia. E’ un’Italia bella e felice, con l’euforia stampata in faccia, come se fosse uscita da una guerra. È l’Italia del calcio e del tennis. Wembley e Wimbledon, i luoghi che ospiteranno gli Azzurri, tra foglie d’edera, e tribune smaltate, poltroncine rosse schierate come un plotone di soldatini, e il legno color ottanio a fare da cornice a duchi e duchesse. Londra, che in un momento ancora difficile, si pone al centro del mondo con gli Europei di calcio e il torneo di tennis più prestigioso di sempre.

Gli Azzurri con la racchetta in mano assomigliano a quelli con il pallone al piede. Sono forti, giovani, non sembrano avere paura. Matteo Berrettini gioca con eleganza e con potenza. Vince di stile senza dimenticare la sostanza. Possiede un’arma micidiale nel servizio: più che un colpo, un’alabarda spaziale. È quello che tra tutti ha le maggiori probabilità di andare avanti nelle due settimane, perché lo ha già fatto, prima di fermarsi estatico davanti al monumento Federer.  Sinner non sembra il ballerino più adatto a danzare sull’erba, ma è ancora molto giovane e capisce in fretta come deve fare. Gli manca di adattarsi un po’, mettendo il naso sopra la rete con l’insistenza degli incoscienti anche a costo di farsi bucare la racchetta, e poi giocare con l’anticipo e il posticipo, senza la fretta che lo contraddistingue nelle altre superfici, quando colpisce definitivo ogni pallina.

Se tanto ci da tanto, Musetti dovrebbe camminare sopra l’erba come un Cristo sulle acque, perché leggero è il suo modo di giocare. Il carrarino si è preparato in casa, sul prato del giardino di un amico, con tanti rimbalzi irregolari a sollecitarne la prontezza. Essendo la sua vera prima volta a Wimbledon, non si può che immaginare, sperando che la qualità faccia la differenza, a dispetto di un fisico ancora in erba, è il caso di dire. Fognini e Sonego, completano la rosa, così diversi nel modo di giocare e di vivere una partita. Faremo il tifo anche per loro, convinti che possano far bene. Intanto a Londra, la Nazionale di Mancini approccerà contro gli austriaci. Se viaggiamo a ritroso nel tempo, l’ultima volta che abbiamo perso risale al 1960, un altro calcio, un’altra vita. Siamo più forti e siamo anche convinti. Di questa autostima ci piace l’euforia che ci trasmette, come la bollicina di un prosecco. Sarà un po’ stupida, esagerata, ma dopo tanto dolore dovrebbe farci bene. Dovrebbe appunto, perché la storia passata degli Azzurri ci ha sempre detto il contrario: abbiamo bisogno di essere arrabbiati per vincere. Una storia che a pensarci bene, non ci è mai piaciuta.

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