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Perché la Finlandia a Euro 2020 non ci sta simpatica come l'Islanda nel 2016

Giuseppe Pastore

A una prima occhiata la nazionale scandinava sembra non possedere un grammo dell'appeal degli islandesi, anzi risulta del tutto sconosciuta anche a poche ore dal loro esordio contro la Danimarca. Eppure è meglio non sottovalutarla

Qualche giorno fa, su Twitter, l'UEFA ha chiesto di immaginare l'Europeo della Finlandia utilizzando solo tre parole. Non l'avesse mai fatto: è piovuta da tutto il Continente una grandinata di commenti tra il sarcastico e l'annoiato – la cifra dominante sui social, specialmente nei pomeriggi d'estate – del tipo: out first round, lose lose lose, absolutely no points...

Nessuno crede alla Finlandia. Nessuno vuole nemmeno sentirne parlare, tutt'altra musica rispetto all'Islanda che nel 2016 planò sull'Europeo francese accompagnata dalla simpatia generale di noi cinici metropolitani e da una qualche specie di entusiasmo hipster da parte di chi commentava in Rete le cose del pallone essenzialmente per darsi un tono (merito soprattutto di Bjork e dei Sigur Ros), e seppe cavalcare abilmente la cosa imponendo al continente l'esultanza del geyser sound, tra le poche cose che sono rimaste di quell'Europeo che ci sembra così lontano. A una prima occhiata la Finlandia sembra non possedere un grammo di quell'appeal e anzi risulta del tutto sconosciuta anche a poche ore dal loro esordio contro la Danimarca (ore 18, Copenaghen). È il settimo Paese europeo per estensione, eppure in 110 anni di storia non si era mai nemmeno avvicinato a una grande fase finale: ne aveva leggerissimamente sentito l'odore solo a Francia '98, nel pieno dell'era del più grande calciatore finlandese di sempre (Jari Litmanen), quando l'obiettivo dei play-off era sfumato all'ultimo minuto dell'ultima giornata dei gironi, a causa di un autogol nello scontro diretto contro l'Ungheria. Si sono qualificati come seconda nel girone tiranneggiato dall'Italia, che li ha battuti due volte su due (2-0 a Udine, 2-1 a Helsinki) ricevendo la sensazione di una soffice inoffensività: vista da lontano, la Finlandia sembra un grosso peluche a forma di renna.

Nel girone più freddo del torneo (qui trovate tutti i gironi e le partite di Euro 2020), in cui la nazione più vicina al Mediterraneo è il Belgio, la Finlandia cerca possibili eroi da sistemare nella piccola vetrinetta del calcio europeo, tra un Charisteas e un Gislason, il centrocampista islandese che tre anni fa ai Mondiali folgorò migliaia di cuori femminili e adesso si è reinventato come modello (attualmente ha quasi un milione di follower su Instagram). La nostra mentalità mercantile ci fa pensare: questi finlandesi vanno soprattutto a caccia di un posto al sole che li faccia svoltare a livello economico. Ma non è detto che pensino come noi e che vivano come noi: lo intuiamo in alcune schegge di surrealtà scandinava seminata nelle loro biografie, buffe, tragiche o semplicemente contemporanee come quella del centrocampista Glen Kamara, nato in Finlandia da due genitori originari della Sierra Leone, scappati per fuggire dalla guerra civile. Hanno nomi incredibili come il centrocampista Pyry Soiri (“pyry” in finlandese vuol dire “nevicata”) o storie personali bizzarre come quella di Leo Väisänen, figlio di una popolare conduttrice televisiva che è stata Miss Finlandia nel 1984. Hanno un approccio alla vita molto meno prevedibile di noialtri, sintetizzato dalle prese di posizione pro-alcol del portiere Lukas Hradecky, numero 1 del Bayer Leverkusen, nato in Slovacchia ma finlandese d'adozione anche nel rapporto con l'etilometro: “Sembra che gli atleti non possano bere o che comunque non debbano darlo a vedere, ma non è così: l'importante è essere sé stessi, qualunque sia l'ambiente in cui vivi. Oppure quando dicono che non dobbiamo imprecare, o dire parolacce: il 99,9% delle persone impreca o dice parolacce, per quale motivo noi calciatori dovremmo comportarci da santi?”.

Sono un gruppo vero, un cielo di un blu scuro compatto ma senza stelle, in cui il giocatore più in vista, Teemo Pukki, è pur sempre un trentunenne che sbarca il lunario a Norwich (certo, quest'anno 26 gol in campionato e promozione in Premier League). È una band i cui componenti lavorano in quindici Paesi diversi, da Cipro al Canada passando per l'Italia (il secondo portiere Joronen, da due anni a Brescia), ma conoscono a memoria gli scarni spartiti di repertorio: una musica silenziosa dalle note impalpabili, con pochissime concessioni allo spettacolo e alla coreografia, in cui un salvataggio difensivo della coppia centrale Toivio-Arajuuri viene celebrato come un gol. Dirige l'orchestra Markku Kanerva, ex insegnante di educazione fisica e matematica, tifoso dell'Arsenal, fanatico del dettaglio tattico e organizzativo: proprio quello che vi aspettate da un uomo il cui principale compito è pensare e studiare in un Paese in cui d'estate si fa fatica a prendere sonno, con ventiquattro ore di luce su ventiquattro. Belgio, Danimarca e Russia stiano attente: sarà difficile giocarci contro. Anzi, peggio: sarà noioso.

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