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Il Foglio sportivo

Monaco, il Gp che vogliono tutti

Umberto Zapelloni

Nel Principato hanno vinto tutti i più forti piloti della storia. Pure un futuro 007 della Regina. In "pista" tutto può accadere. Correre a Montecarlo è come giocare alla roulette

Nessun uomo sano di mente si lancerebbe con una monoposto di Formula 1 tra i muretti e i guard-rail del circuito di Montecarlo. I piloti però sono esseri speciali, come canterebbe il Maestro, e di giri si preparano ad effettuarne 78, dopo aver affrontato le qualifiche più elettrizzanti della stagione. “È come correre in bicicletta nel salotto di casa”, spiegava Nelson Piquet. “Montecarlo è un circuito di montagna con una città attorno”, diceva Gilles Villeneuve. Il Gran premio di Monaco che torna in calendario dopo esser stato fermato dal Covid, è il più anacronistico del Mondiale, ma anche l’unico a cui non rinuncerebbe nessuno. Vincere a Montecarlo è un po’ come trovare l’alba dentro l’imbrunire, è qualcosa di unico che può trasformare il curriculum di ogni pilota. Se scorrete l’albo d’oro di un Gran premio cominciato nel 1929, molto prima del Mondiale, vi trovate i nomi di tutti i grandi campioni dell’automobilismo. Mancano solo Ascari e Jim Clark. Gli altri, da Nuvolari a Hamilton, da Fangio a Lauda per non dire delle sei vittorie di Senna, delle cinque di Graham Hill e Schumacher e delle quattro di Alain Prost, ci sono proprio tutti. Se i nomi dei vincitori indicano la grandezza di un evento, il Gran premio di Montecarlo è decisamente messo bene e non ha neppure bisogno di aggiungere che i suoi trofei vengono consegnati da Principi e Principesse. Già il primo vincitore è una storia nella storia. William Charles Frederick Grover-Williams non è stato solo un pilota. Dopo aver vinto a Montecarlo con una Bugatti dipinta di quel verde che poi divenne il famoso racing green britannico, è infatti diventato un agente segreto al servizio di sua Maestà. Un James Bond in carne e ossa grazie alle sue frequentazioni e alla conoscenza delle lingue. La sua storia è diventata un bel libro (The Grand Prix Saboteurs), costato anni di ricerche a Joe Saward. La sua vita si è invece conclusa nel campo di concentramento di Sachsenhausen, anche se esiste una teoria che racconta di una fuga dall’inferno e poi di una morte in tarda età, investito da una Mercedes mentre andava tranquillamente in bicicletta. Misteri da Gran premio di Monaco. Come quello che racconta dello smarrimento dopo un crash del diamante da 400 mila euro incastonato da uno sponsor sul musetto della Jaguar di Christian Klein nel 2004. Furono recuperati tutti i pezzi della monoposto, ma non il diamante. Una trovata pubblicitaria un po’ costosa.

 

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“Lampioni, alberi, night club, case, alberghi, cordoli, grondaie. Non manca niente a Monte Carlo”, diceva Graham Hill. Aggiungete pure boutique di grandi stilisti, gioiellieri, ristoranti stellati con vista sul circuito, yacht, attici da favola. Le 19 curve del circuito di Montecarlo hanno tutte un nome e una storia: la Saint Devote, la Virage du Casino, il Tornante Mirabeau, la lentissima Vecchia Stazione diventata Loews e poi Fairmont, la mitica Curva del Tabaccaio, la Rascasse (ex Curva del Gasometro), la Anthony Noghes. Hanno visto piangere anche i campioni più grandi, che prima di scrivere il loro nome nell’albo d’oro, hanno pagato pegno alla durezza del Principato. Finalmente una pista senza track limits, perché qui i limiti li fanno muri e guard-rail. Gilles Villeneuve diceva ai giornalisti: andate alla curva del Casino, mettete dei fiammiferi sul guard-rail e vedrete che io vi passerò così vicino da accenderli. Scherzava ma non troppo. “Ricordo che a Montecarlo alla fine delle prove le ruote dell’auto di Michael era sempre rovinate. Si appoggiava ai guard-rail quanto bastava per guadagnare un decimo senza rovinare le sospensioni”, racconta Ross Brawn sottolineando come Schumacher affrontasse il tracciato. Suo figlio Mick ci ha provato l’altro giorno, ma ha preso un guard-rail salendo verso il Casino: non se la prenda, lì Alonso lasciò le sue speranze da ferrarista un sabato mattina. Montecarlo è uno dei posti dove ci si può rendere conto da vicino dell’abilità di un pilota. Vederli dal vivo al Tabaccaio o alle Piscine è qualcosa di impressionante. Li vedi viaggiare sfiorando lamiere e muretti con la dolcezza che un maggiordomo userebbe con il suo spolverino per tenere in ordine i cristalli sulla libreria. Riescono a essere delicati pur viaggiando a oltre duecento all’ora. Delicati nella loro violenza. Può sembrare un assurdo. Ma provate a farci caso oggi che le riprese televisive in 4k vi portando dentro le monoposto. 

Montecarlo ha visto piloti finire in mare come Alberto Ascari (1955) e l’australiano Paul Hawkins (1965), morire tra le fiamme come Lorenzo Bandini (1967), finire in coma dopo una botta terrificante come Karl Wendlinger (1984). È stato crudele con il vecchio re Graham Hill che dopo cinque vittorie mancò la qualificazione nel 1975, con i sogni di Senna prima di vederlo trionfare per sei volte come nessun altro, con quelli di Schumacher che al suo primo Montecarlo da ferrarista ha sprecato la pole scivolando contro un muretto. È esattamente come una notte al tavolo della roulette. Puoi vedere di tutto. Uscire da milionario o in mutande. Se le stanze dei grandi hotel a cinque stelle potessero parlare racconterebbero delle notti di bagordi di James Hunt (famosa sua frase: “Nel 1973, al mio primo Gran Premio di Monaco, prima di salire in macchina vomitavo dovunque. Pure sulla griglia”) e di molti dei suoi colleghi più discreti, ma non meno goduriosi. Prima che il Covid chiudesse tutto, il Gran premio di Monaco non era soltanto quello con più cambiate in un giro (50), ma anche quello con più tacchi a spillo nei box, tra attrici in cerca di pubblicità o aspiranti tali in cerca di fidanzati. Quest’anno ci saranno solo 7.500 persone in tribuna con biglietti pagati anche mille euro, saranno distanziati (è il 40 per cento della capienza) ma nessuno potrà controllare fino in fondo quello che accadrà su yacht o terrazze dove si segue la gara in bikini. In qualifica sarà spettacolo e chi parte in pole qui ha vinto 30 volte in 66 edizioni. È uno di quei casi in cui il sabato può contare quanto la domenica quando per brindare ci saranno bollicine italiane anche a casa di chi è abituato a bere champagne. E dopo tanto tempo è anche uno di quei giorni in cui i sogni dei ferraristi prendono strane forme, come quelli di un bambino alla vigilia di Natale. Riaccendere i motori con Leclerc e Sainz davanti a tutti fa un certo effetto.

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