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La via dell'Empoli per la Serie A

Matteo Lignelli

La prossima sarà la quattordicesima stagione nella massima divisione dei toscani. Siamo gente di campagna, ma questo per noi è un valore”, ci dice il presidente Fabrizio Corsi

“Siamo gente di campagna, ma questo per noi è un valore”. Il calcio di provincia che torna in Serie A ha la faccia affaticata di Fabrizio Corsi, 61 anni ad agosto, empolese presidente dell’Empoli. All’inizio dei Novanta ha assunto sia la direzione dell’azienda di famiglia, nel settore tessile, pelle in special modo, sia quella del club della sua città. Da allora ha ottenuto sei delle sette promozioni nel massimo campionato in più di cento anni di storia della società. La prossima sarà la quattordicesima stagione in A. È orgoglioso delle origini contadine: con la stessa premura dei suoi avi, lui coltiva il talento.

 

 

“L’Empoli ha dato calciatori alle squadre professionistiche di tutta Europa – fa notare – senza avere la capacità economica di altri settori giovanili importanti, come quello dell’Atalanta. Per essere chiari: noi non possiamo permetterci di pagare un 16enne 600 o 700 mila euro”. “Quest’anno – prosegue Corsi – mandavamo in campo insieme anche otto ragazzi del nostro vivaio, in Italia non lo fa più nessuno e questo mi inorgoglisce. Se dovessi scattare una foto di questa stagione sceglierei la partita di Coppa Italia contro il Napoli (persa 3-2). Abbiamo fatto un figurone, è stata in bilico fin da ultimo e giocavamo con 5 o 6 calciatori cresciuti da noi”.

 

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Tra loro il più famoso è Samuele Ricci, centrocampista del 2001, già accostato la scorsa estate a piazze più ricche. Oltre alla rosa – la più giovane della serie B – l’Empoli si è fatto in casa pure il direttore sportivo Pietro Accardi, ex calciatore di Palermo, Samp e Brescia che in Toscana ha imparato un nuovo mestiere. Oltre a Traoré del Sassuolo, negli ultimi anni sono passati dalla sua scrivania anche “Ciccio” Caputo, Bennacer del Milan o Di Lorenzo del Napoli. Segno che non si devono lanciare solo i giovanissimi: la parola d’ordine è valorizzare. “Il giorno che saranno passati due anni dall’ultimo giocatore venduto, rischieremo il fallimento – assicura il presidente dell’Empoli – sarò anche previdente in un modo esagerato, però negli ultimi 15 anni quando ci sono state delle difficoltà le abbiamo risolte così. Nel 2018, in serie A, ho speso 9 milioni per un centravanti perché pensavo di ricavarne 25: è stato un errore, è un’operazione che non ci appartiene”.

 

L’allenatore, Alessio Dionisi, 41enne di Abbadia San Salvatore, in provincia di Siena, è una sua intuizione come lo sono stati gli altri toscani Spalletti, Sarri e Silvio Baldini, ma anche Marco Giampaolo. “Come metodo di lavoro mi ricorda Sarri, però Dionisi ha più equilibrio nella gestione del gruppo. Maurizio era un animale da spogliatoio, aveva un metodo vincente ma poteva sembrare burbero, Alessio dà il massimo valore al dialogo con tutti quanti i giocatori. È un predestinato, come Accardi, spero sia possibile trattenerli entrambi il prossimo anno, anche se adesso che tutti si sono accorti di loro”.

 

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Dionisi ha dato all’Empoli durezza mentale e un gioco avvolgente. Gli azzurri hanno perso solo tre gare in tutta la stagione, nel mezzo 28 risultati utili di fila che sono valsi il primo posto con due turni d’anticipo, dopo la vittoria di martedì (4-0) contro il Cosenza. Oggi hanno 4 punti in più della Salernitana, seconda, e 6 in più del Monza di Berlusconi e Galliani, che gioca con Boateng e Balotelli. Sono sia il secondo miglior attacco (66 gol contro i 67 del Lecce) che la seconda difesa della B, dietro ai brianzoli.

 

“In questo calcio malato tutti cercano di incassare di più, senza pensare a come poter spendere meno. Sono più stanco di dieci anni fa e ho pensato di non essere adeguato a questo mondo. Credo si debba tornare ad attingere di più dal settore giovanile per ottenere dei risultati, come facciamo noi”. “Investire sui giovani richiede tempo – rimarca Fabrizio Corsi –. Posso parlarle dei nostri 2006, ma non so se sarò io a raccogliere i frutti di quel lavoro perché arriveranno tra diversi anni”. Serve la pazienza di Leonardo Mancuso, il bomber di questo gruppo (20 reti, record personale) quando va a pescare le carpe. “Oggi la nostra Primavera è tra le prime squadre d’Italia e le famiglie dei ragazzi ci scelgono, rinunciando ai soldi, perché sanno che da noi crescono, giocano e hanno il tempo di sbagliare. Prima di vincere lo scudetto Primavera e il Torneo di Viareggio, negli anni Novanta, in Toscana eravamo l’ultima ruota del carro, prendevamo gli scarti: essere arrivati qua è straordinario e dà una dimensione di quanto è stato fatto”.

 

“Per il nostro centro sportivo investiamo circa un milione – conclude –  è una struttura che un club di serie B fa fatica a sostenere e soprattutto suddividiamo le risorse al 60 per cento per la prima squadra e al 40 per cento per il vivaio. Anche questo accade da poche parti”. Il responsabile scouting con il quale si confronta ogni giorno, è Massimiliano Cappellini, ma al numero uno dei toscani piace leggere le relazioni degli osservatori su ogni calciatore prima di procedere con un’operazione di mercato. Del resto la società vive di plusvalenze e cessioni. Di scelte. Non c’è margine di errore.

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