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Cosa aspettarsi dalla Juventus in Champions League

Giuseppe Pastore

Contro il Porto i bianconeri devono dare una svolta alla loro stagione e cercare di superare i problemi in difesa e il Ronaldocentrismo in attacco

Dopo tre batoste consecutive in fasi sempre più arretrate della competizione (2017 finale, 2018-2019 quarti, 2020 ottavi), la Juventus ha smesso – quantomeno pubblicamente – di considerare la Champions League l'obiettivo numero uno: e questo è un buon punto di partenza per viverla senza l'ansia da prestazione che le ha tagliato le gambe per esempio due anni fa con l'Ajax, o senza la superbia che li ha visti buttare via metà qualificazione l'anno scorso a Lione, senza neanche lo straccio di un tiro in porta alla settima classificata della Ligue 1. “È un sogno”, dice Pirlo con il suo tipico frasario impalpabile da calciatore intervistato all'intervallo, quando la stanchezza e il freddo inducono l'atleta ad ammannire le banalità più viete al povero giornalista. “Facciamo attenzione, si difendono bene e non prendono gol da cinque partite”, ribatte Giorgio Chiellini, sommo intenditore dell'argomento, ormai animato da un'attrazione quasi erotica verso i cosiddetti clean sheet che la Juventus ha ripreso a mietere con il suo ritorno in pianta stabile nell'undici titolare. Ma qui casca l'asino.

  

Perché da qualche settimana proprio Chiellini – persino Chiellini, verrebbe da scrivere, con tutto quello che ha fatto – è la pietra dello scandalo, il centro della guerra di religione che ha cambiato drasticamente scenario nell'ultimo mese. Lasciamo perdere cosa diceva l'acerbo Maestro Pirlo in autunno, e cosa dicevano di lui: non contava niente. Il ritorno nei fatti al presunto allegrismo, esaltato o maledetto, ha prodotto anche un regolare inaridirsi della fase offensiva, ora più che mai Ronaldo-centrica. Numeri impietosi: nelle ultime quattro partite tra campionato e coppa Italia non c'è stato alcun gol di juventini nati al di fuori dell'arcipelago di Madeira. Nelle quattro partite contro Roma, Napoli e Inter (andata e ritorno) ci sono stati solo sette tiri di giocatori non-portoghesi, mentre il solo CR7 ha centrato la porta undici volte. Nel frattempo, in due anni e mezzo di Juve, è arrivato a 62 tentativi su punizione diretta, con un solo gol e quarantuno conclusioni respinte dalla barriera. Si potrebbe andare avanti a lungo ma non vogliamo seppellirvi di numeri.

   

Certo, direte voi, Cristiano Ronaldo dos Santos Aveiro simboleggia una percentuale non trascurabile del monte stipendi e del fatturato della FC Juventus, e dunque è normale che al momento gli giri attorno un intero sistema solare. Però è lampante e un po' mortificante, e ancor di più lo è nelle partite europee a eliminazione diretta, che dopo trenta mesi la Juventus ormai aderisca totalmente al suo fuoriclasse, anche per le eccessive ristrettezze di una rosa asimmetrica: adesso falcidiata dagli infortuni ma da sempre sguarnita per esempio in attacco, dove ieri Pirlo ha fatto luce sul malessere di Morata, a quanto pare non così semplice da curare. Adagiatasi di recente su un 4-4-2 di aridità capelliana che un Pirlo particolarmente in vena di provocazioni potrebbe ulteriormente puntellare piazzando De Ligt o Demiral a centrocampo come il Desailly dei bei tempi milanisti (si scherza, eh), la Juve dell'ultimo mese – dicono gli Anti-Chiello – ha reagito alla lezione ricevuta da Conte in campionato come l'uomo delle caverne scottato dalla prima esperienza col fuoco. Invece no!, rispondono i Pragmatici, primo non prenderle, così si vincono gli scudetti (?) e forgiandosi nella sofferenza si superano le colonne d'Ercole degli scontri diretti europei. Cui Pirlo è del tutto estraneo, e stasera scoprirà al Dragao di Oporto – location da scandire bene o eventualmente da evitare, per non essere fraintesa con imprecazioni di stampo buffoniano – perché la Champions League è universalmente considerata la competizione dei dettagli, dove l'improvvisazione e una robusta sparigliata di carte valgono più di un mese di teoria e prassi di una filosofia che bisogna essere pronti a gettare dal finestrino in corsa, se necessario. Nella prima fase avevamo celebrato contro il Ferencvaros la prima difesa interamente straniera della storia della Juventus, Cuadrado-Danilo-De Ligt-Alex Sandro, salutandola come l'alba di un giorno nuovo per la Vecchia Signora; tre mesi dopo siamo in piena restaurazione.

   

Ma per cambiare in meglio e muoversi in avanti nelle more di un dentro-fuori europeo ci vuole coraggio, pelo sullo stomaco e non di rado una certa dose di follia: non pretendiamola da Pirlo, che non ha ancora nemmeno compiuto sei mesi da allenatore professionista. Dunque Chiellini, i suoi turbanti, le scivolate a marcare il territorio, le sue voluttuose spazzate in tribuna, i suoi passaggi lunghi di tre metri ogni volta che varca la metà campo e si mette in testa d'impostare, e tutto quello che rappresentano le sue 524 presenze ufficiali con la Juventus, una saga in cinque volumi impossibili da ridurre al bianco o al nero – semmai al bianconero. Però su con la vita, e dentro anche qualche acrobata: è vero che in Champions il Porto non prende gol da cinque partite, ma è appena la settima difesa del campionato portoghese.

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