Fu il Totocalcio a eliminare secoli di pregiudizi sul numero tredici

Giovanni Battistuzzi

Il 21 gennaiodi settanta anni fa il Tredici divenne speranza di cambiare vita e non più portatore di iella e di sventura

Per secoli il tredici è stato in gran parte d'Europa un numero iellato, portatore, suo malgrado, di sventura. Ogni cultura aveva il suo motivo per diffidare dal tredici. In quelle nordeuropee era legato alla subdola malvagità di Loki, dio dell'astuzia e della distruzione. Ovviamente il tredicesimo per nascita. I cristiani hanno iniziato a considerarlo malevolo a causa delle presenza di tredici persone all'ultima cena. Ovviamente il tredicesimo era Giuda iscariota, colui che ha tradito Gesù Cristo. Tra i galli e i celti era evitato per via di una leggenda che narrava lo sterminio di una famiglia da parte del dio della luce (Belanu), alla nascita del tredicesimo figlio, ossia uno in più dei suoi dodici discendenti. Nella Grecia antica il tredici invece è iniziato a essere malvisto a causa di Euclide e ai suoi Elementi, ossia quando postulò che non poteva essere diviso da nessun altro numero se non per se stesso. Un numero vanesio.

 

Secoli di pregiudizi che vennero spazzati via, almeno in Italia, una domenica di gennaio di settant'anni fa.

 

Era il 21 gennaio del 1951 quando il tredici da numero si trasformò in speranza, in Tredici, quello del Totocalcio. Il concorso a premi era stato inventato il 5 maggio 1946 da Massimo Della Pergola, Fabio Jegher e Geo Molo "per dare brio alla giornata calcistica", dissero. Giocare una colonna costava 30 lire, una cifra alla portata di molti e che permetteva di sperare di agevolarsi la vita e dimostrare agli amici che di calcio se ne capiva. Si doveva azzeccare l'andamento di dodici partite scrivendo accanto all'incontro 1 per la vittoria della squadra di casa, 2 per la vittoria di quella in trasferta, X per il pareggio. Nel 1948 era già diventato uno degli argomenti più discussi nei ritrovi domenicali davanti alla radio di bar e osterie. Quando fu acquisito dai Monopoli di stato per anni si cercò il modo per renderlo più complicato. Più di una volta il montepremi fu spartito tra così tanti "dodici" da renderlo meno attrattivo. E così si aggiunse un partita, cambiando il corso degli eventi della superstizione.

  

In uno spettacolo del suo teatro canzone Giorgio Gaber raccontava che "ah il Totocalcio, mezza ossessione e mezzo miracolo, l'unico gioco che riuscì a unire interisti e milanisti, juventini no, quelli facevano tutto tra loro, erano una setta. Milanisti e interisti invece... ma mica per fede calcistica, per soldi in ricevitoria. Perché al bar si tirava su quel che c'era e ai colori delle maglie mica si dava importanza quando c'era da raccogliere quote per il sistema. Che poi era sempre il Sistemone, quello vincente anche se non si cavava mai una lira. Ma vuoi mettere la speranza... la speranza era una bella cosa, l'opportunità di vivere da sciur. Gli stessi che noi, nel nostro piccolo di basisti dell'osteria, odiavamo con tutto il cuore. Ah, che miracolo il Totocalcio".

 

Ora il Totocalcio non se la passa bene, se lo sono dimenticati un po' tutti. Neppure quasi appare in tv l'unoicsdue. C'è ancora, solo che ora bisogna fare quattordici. Ma il quattordici ha mica lo stesso fascino. L'immaginario di generazioni di sportivi da seggiola si è nutrito di Tredici, si può mica cambiare. Chi può solo immaginare Lino Banfi esultare per un Quattordici?, non può funzionare. Il Totocalcio era non solo un gioco a premi, era un fenomeno di costume. È entrato nelle canzoni, nel gergo delle persone, nei film. Gliene hanno pure dedicato uno: Al bar dello sport. Era il 1983, una vita fa. 

 

       

Ora le schedine se le sono dimenticate, delle partite si può giocare qualsiasi cosa, dal nome del primo marcatore al numero totale di cartellini gialli sventolati dall'arbitro. Il montepremi non ha più senso e i giochi per svoltare si sono moltiplicati così tanto da rasentare il patologico.

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