L'Inter è un'orchestra dove sbagliano tutti ma nessuno più degli altri

Giuseppe Pastore

Contro il Parma i nerazzurri colgono il quarto pareggio nelle ultime sei partite. Da Marotta a Conte ai giocatori, cosa non va in quella che doveva sulla carta essere l'anti-Juve

    Certe volte, più di altre, viene nostalgia della cara vecchia Gialappa's e della loro rubrica Ipse Dixit che immortalava con l'effetto-mitraglia di una macchina da scrivere gli sproloqui e le circonlocuzioni impossibili dei personaggi del calcio. Per esempio sabato sera pochi minuti dopo Inter-Parma, quando davanti alle immagini della plateale trattenuta di Balogh su Perisic, a Sky Beppe Marotta dichiarava quanto segue: “Avere un arbitro che in quel momento è alle prese con una valutazione, con diverse valutazioni all’interno di un’area di rigore che possono sfuggire a qualsiasi tipo di valutazione, è normale che in questo caso per esempio lo strumento tecnologico, lo sto rivedendo ancora per l’ennesima volta, quindi parlare di rigore certo dico è cosa, mi pare, molto semplice”.

     

    Ora, il nostro intento non è prendere per i fondelli Marotta. Se però uno dei manager più competenti e navigati del calcio italiano – sollecitato a caldissimo dal popolo nerazzurro (e forse anche dal suo allenatore) a farsi sentire sulla questione arbitrale – sembra intervenire più per dovere che per convinzione e si avvita attorno alle parole come se non ci credesse in fondo nemmeno lui; se poi la sera dopo lo stesso manager si scomoda per mandare un whatsapp in diretta a Fabio Caressa per smentire le parole di Nicola Rizzoli, ricevendo un minuto dopo una contro-smentita fragorosa per un uomo felpato e diplomatico come Rizzoli (“Forse Marotta non era a conoscenza...”), siamo già ai famosi due indizi che fanno una coincidenza.

     

    Sbaglia l'arbitro Piccinini; sbaglia Marotta, confuso e poco incisivo. Sbagliano gli attaccanti: l'ultimo gol di Lautaro Martinez risale a prima della sosta e, come curiosamente gli succede, se non segna nel primo tempo si rabbuia e si spegne, fino alla palla che innesca lo 0-1 di Gervinho dopo venti secondi della ripresa. Sbagliano gli esterni: Perisic ha salvato solo nei minuti di recupero una partita da 4, aperta dal solito errore di sufficienza solo davanti al portiere. Sbagliano i difensori, visto che l'Inter subisce almeno due gol per la quarta partita di fila a San Siro (non capitava dai tempi di Stramaccioni) e vacilla anche una colonna come De Vrij, buggerato due volte da Gervinho. Sbagliano i portieri o quantomeno non sono più quelli di una volta, perché non si ricordano ancora parate notevoli di Handanovic in otto partite tra campionato e Champions. Sbagliano gli allenatori, perché una linea difensiva De Vrij-Ranocchia-Kolarov non si manda in campo da sola, e perché insistere con il dogma della difesa a 3 pure quando il Parma lascia nella metà campo avversaria il solo Inglese fa a pugni con la ragionevolezza. Sbaglia chi fa il mercato, perché quella con il “tacchino freddo” Eriksen (gli interisti più giovani non si offendano: è una citazione dotta e un grande complimento all'amletico danese) sembra una storia sbagliata fin da principio, da quanto lui e Conte sembrano appartenere a due diverse specie animali. Sbaglia tutta l'Inter, mai così unita e compatta come in questa continua e ripetuta ricerca dell'errore.

     

    Vedete anche voi come nessuno di questi appena elencati sia davvero l'Errore con la E maiuscola, come se oggi l'Inter fosse un lussuoso pianoforte con poca manutenzione, senza una corda davvero rotta, ma con almeno una decina di corde che producono suoni opachi, faticosi, sempre a rischio cacofonia. “L'amore che strappa i capelli è perduto ormai”, specialmente se Conte ha fatto di tutto per ottenere il divorzio e, non essendoci riuscito, ora dà la sensazione di reprimersi per quieto vivere e per beneficio del proprio conto corrente: ma la rosa a disposizione non è (ancora) composta da giocatori che si allenano da soli. Quattro giornate fa, dopo il pirotecnico 4-3 alla Fiorentina rimontata con uno spettacolare sfoggio di muscoli, scrivevamo entusiasti: “I guai possono arrivare quando in una squadra così atleticamente dominante si insinua il tarlo del pensiero”. Il pensiero è arrivato, e non è un pensiero stupendo. In campo scendono almeno tre-quattro giocatori per volta che suonano regolarmente fuori dallo spartito, e non parliamo solo di Eriksen, la cui consistenza vaporosa lo rende il capro espiatorio ideale: da Brozovic a Perisic, da Lautaro al cavallo pazzo Nainggolan, da Kolarov a Vidal, tutti loro possono alternativamente risolvere la partita ma anche aggiungere altra confusione alla confusione esistenziale in cui versa la banda di Conte (che quantomeno nessuno chiama Maestro), errabonda e litigiosa come gli orchestrali della “Prova d'Orchestra” di Federico Fellini, quando un anno fa – specialmente in autunno – azzannavano tutti insieme le partite in perfetta sincronia, spesso sbloccandole già nei primi venti minuti.

     

    Per restare in tema, viene anche in mente il più bel finale della storia del cinema italiano: “L'eclisse” di Michelangelo Antonioni, una relazione sentimentale che si rivela di colpo inconcludente e lascia un'inquietudine inspiegabile agli spettatori (in questo caso, non parleremmo di tifosi). Negli ultimi allucinanti minuti un uomo di mezza età scende da un autobus con una copia dell'Espresso tra le mani: “La pace è debole”, si legge nelle pagine interne. Non si vede una minaccia concreta, ma serpeggia un silenzio di sottofondo in attesa di qualcosa, interrotto da rumori metallici e strani cigolii. Viviamo tempi precari, a Milano più che mai. In questo senso, l'Inter 2020-2021 è una squadra perfettamente contemporanea.