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Il Foglio sportivo - il ritratto di Bonanza

Zlatan Ibrahimovic non cade mai

Alessandro Bonan

Il numero 11 del Milan va dove la palla dovrebbe andare, non dove è scontato che andrà. È un visionario con il potere di orientare il futuro, piegarlo alla sua volontà. Al massimo sbaglia un calcio di rigore

C’è un calciatore in serie A, alto quasi due metri, che ogni tanto sbaglia un calcio di rigore ma in compenso non cade praticamente mai: il suo nome è Zlatan Ibrahimovic. Nonostante i 195 centimetri, lo svedese si piega, flessibile e indistruttibile come il titanio, si alza, potente e immediato come un elicottero, si sposta, veloce e impercettibile come la luce. Fa tutto questo Zlatan, ma non cade, non cade quasi mai.

  

Per riscontrare un atleta del genere, dobbiamo guardare altrove, magari nel salto con l’asta, e il primo nome che viene in mente è Serhji Bubka, per l’esattezza dei movimenti in un corpo teso a esprimere forza e leggerezza insieme. O nel basket americano, con il compianto Kobe o ancora di più con l’inarrivabile Michael Jordan, per la quantità di variabili nei cambi di direzione senza smarrire il senso della misura. Nel pugilato con Muhammad Alì, per la resistenza al contatto fisico e il legame immediato tra pensiero e azione. Nello sci, con Alberto Tomba, per l’assoluta centralità della figura – un concentrato di muscoli – dove la potenza veniva equamente distribuita su tutto il corpo, determinando scioltezza, equilibrio, quindi velocità e, in conclusione, prestazione. Ibra sovrasta gli avversari con tutte queste caratteristiche, proprie di alcuni grandi atleti della storia. Perché Zlatan prima ti verifica con il fisico e poi ti finisce con la tecnica. Le sue grandi qualità si chiamano autocontrollo e senso del gioco. Zlatan va dove la palla dovrebbe andare, non dove è scontato che andrà. E c’è una profonda differenza tra il vedere ciò che appare o immaginarsi uno scenario diverso. In questo senso Ibrahimovic è un visionario con il potere di orientare il futuro, piegarlo alla sua volontà. Altrimenti non si spiega una superiorità così schiacciante alla soglia dei quarant’anni. Ibra arriva prima, anticipando anche l’ipotesi. Usando il fisico in modo diverso rispetto a un normale calciatore. Il petto dove gli altri vanno di testa, il tacco laddove un mortale è costretto a ruotare le spalle e girarsi. Capisce la traiettoria del pallone prima che questa si disegni da sola. E non finisce quasi mai con il sedere per terra, se non perché tirato giù da un avversario (calcio di rigore!) o in quelle circostanze dove la seduta rappresenti un’occasione per riflettere.

 

Può darsi che tutto questo sia riconducibile alla disciplina taekwondo di cui è seguace. Di sicuro l’arte marziale, di antica discendenza orientale, lo aiuta ad allenare il fisico, ma più probabilmente lo predispone con la mente a negare l’esistenza dell’impossibile. Senza cadere nella tentazione di accontentarsi, vivere di rendita aspettando il domani. Anche perché Zlatan, non è uno che aspetta, né tantomeno cade. Al massimo, astrale congiunzione, può sbagliare un calcio di rigore.

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