Foto tratta dal profilo Facebook di Paolo Rosola (al centro)

Nel nome della Rosa

Anche un Cavallo pazzo può conquistare la maglia rosa

"Rientrai alla fine della discesa e mi misi a disposizione di Gavazzi: era il più veloce. Gli tirai la volata. Ma troppo forte". Parla Paolo Rosola vincitore e capoclassifica per caso al Giro d'Italia 1983

Marco Pastonesi

Le volate sono eccitanti: “Paura zero, incoscienza tanta, ma anche tanto istinto, tanta abilità, tanta esperienza". Intervista al corridore di Gussago: "Ero un corridore completo: andavo piano dappertutto”

Il 15 maggio 1983. Una domenica. Terza tappa del Giro d’Italia, la Comacchio-Fano di 148 chilometri. Pronti? Via.

 

“Amavo la velocità. Brividi, adrenalina, ebbrezza. In moto, se possibile. Oppure in bici. Strada, pista, cross. Anche al Giro d’Italia”.

 

Paolo Rosola – “Cavallo pazzo”, lo chiamavano – aveva 26 anni, era già al suo sesto anno da professionista, e quel giorno si aspettava tutto tranne quello che sarebbe successo. “Il prologo annullato per una manifestazione sindacale. La prima tappa, una cronosquadre di oltre 70 km, noi dell’Atala secondi dietro a quelli della Bianchi. La seconda tappa, in volata, vittoria di Guido Bontempi, che stava a me come – con le dovute proporzioni – Coppi stava a Bartali. E poi spiegherò perché. Ma la maglia rosa era nostra, con Urs Freuler, svizzero con i baffi. E l’ordine di scuderia, e il compito di giornata, era proteggerlo”. Non andò così. “A Gabicce, sull’ultima salita, la fuga, una quindicina, con Baronchelli, Contini, Thurau e Gavazzi. Rientrai alla fine della discesa e mi misi a disposizione di Gavazzi: era il più veloce. Gli tirai la volata. Ma troppo forte. Primo io, secondo lui. E tra distacco e abbuono, conquistai anche la maglia rosa”.

 

  Foto tratta dal profilo Facebook di Paolo Rosola (al centro)

 

Un bel problema. “Avrei dovuto difendere Freuler, e Freuler avrebbe potuto prendersela. Avrei dovuto lanciare Gavazzi, e Gavazzi avrebbe potuto arrabbiarsi, ma con Freuler l’avevamo fatta grossa insieme. Quello che contava era la classifica: ed eravamo ancora in testa. Franco Cribiori, il nostro direttore sportivo, era comunque contento. La sera, a cena, tirò fuori una bottiglia di spumante e si festeggiò”. La maglia rosa durò due giorni: “La quarta tappa arrivava a Todi, e mi salvai. La quinta a Vasto, e ci lasciai le penne, giunsi con 33 onorevoli minuti di ritardo. Mi sarei rifatto. Primo a Orta-San Giulio, primo a Vicenza, avrei potuto essere primo anche a Milano, se io e Gavazzi ci fossimo organizzati meglio, invece ne approfittò Frank Hoste”.

 

Le volate sono eccitanti: “Paura zero, incoscienza tanta, ma anche tanto istinto, tanta abilità, tanta esperienza. Avevo cominciato a sprintare nei traguardi volanti, quelli da 50 e 100 mila lire, nei traguardi intermedi, sponsorizzati dalla Fiat, una volta guadagnai una Duna, un’altra una Ritmo, e nei traguardi a premi, in palio beni in natura da ritirare a corsa finita. Due anni prima, era il 1981, mi offrii per andarli a ritirare: presi un furgone, passai da aziende vinicole e di abbigliamento, caseifici e salumifici, e lo riempii. Poi, come sempre, si divise il bottino”.

 

La maglia rosa, una delle due, è in casa, incorniciata: “L’unico trofeo che possa competere con le maglie iridate e le medaglie olimpiche di Paola”. Paola Pezzo, la moglie di Paolo Rosola: “Se avessi avuto la sua testa, sarei stato un campione. Invece ero un corridore completo: andavo piano dappertutto”. Non è vero, tant’è che nel 1987 si scoprì addirittura scalatore: “Coors Classic, in Colorado, vinsi quattro tappe, anch per distacco. Mi chiesero di prendere la cittadinanza americana e correre con una maglia a stelle e strisce...”.

 

E Bontempi? “Abitavamo tutti e due a Gussago, io in paese, lui fuori, a tre km di distanza. Ci allenavamo sempre insieme, prima da dilettanti, poi da professionisti, e ci sfidavamo in volata sul rettilineo nel centro del paese. Lì c’era un bar, frequentato dai pensionati, che scommettevano su chi di noi due avrebbe vinto. Ma non sapevano che certe volte io e Guido, tanto per far del cinema, ci mettevamo d’accordo. A Guido ho trasmesso la passione per le moto. E il Giro d’Italia, anche questo, lo fa in corsa da motociclista. Senza fatica”.

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