L'Estadio Da Luz di Lisbona (foto LaPresse)

Le Final Eight di Champions a Lisbona, città benedetta e maledetta dal calcio

Emmanuele Michela

Tutti in Portogallo per la nuova formula della Coppa Campioni. Là dove Bela Guttmann iniziò la mistica del Benfica tra gioia, pianto e un anatema che forse non pronunciò mai

Ha un che di mistico portare il grande calcio a Lisbona, dove la Uefa ha deciso di organizzare le Final Eight di Champions League dal 12 al 23 agosto, con una scelta dettata da ragioni prevalentemente logistiche (due grandi stadi vicini e molti alberghi a disposizione) e sanitarie (il Portogallo è riuscito fin qui a gestire bene l’epidemia di Covid). Lo si respira tra le tribune nuove di pacca e le scale mobili della “Catedral”: così è soprannominato lo stadio principale cittadino, che in realtà si chiamerebbe Estadio Da Luz, prendendo il nome dal vicino Santuario di Nossa Senhora Da Luz. Qui si giocheranno alcune partite della Final Eight (le altre saranno ospitate all’Estadio Jose Alvalade, casa dello Sporting), tra cui la finale. 

 

A uno degli ingressi dell’impianto è stata eretta nel 2014 una statua di Bela Guttmann, a ricordo del manager ungherese che vinse due Coppe Campioni col Benfica negli anni Sessanta, interrompendo il dominio incontrastato del Real e creando il mito di una squadra tutt’oggi celebrata tra le più grandi di sempre. L’opera ha il fascino antico e sobrio dell’abito che è stato scolpito addosso all’allenatore, che però non sorride. Quando fu messa qui erano i 110 anni dalla nascita di Gutmann e il Benfica voleva rendergli omaggio, anche se da almeno sei decenni faceva i conti con una delle maledizioni più assillanti che la cultura sportiva conosca. Forse quella statua voleva essere una forma di espiazione di una colpa, perché Guttmann dopo aver vinto quei trofei fu lasciato andare via senza concedergli un aumento di stipendio nel ’62, e quando tornò nel ’65 le cose andarono perfino peggio e il rapporto tra club e manager si ruppe (“Questi occhi che non piangevano da anni, da un po’ di notti versano lacrime senza sosta”, disse il manager in un’intervista).

 

In realtà, chi ha tentato di andare a fondo di quell’anatema – lo ha fatto lo scrittore inglese David Bolchover in una straordinaria biografia dedicata al primo manager che il calcio abbia conosciuto – dice che non c’è certezza che quella frase (“Nei prossimi 100 anni il Benfica non vincerà mai una coppa europea”) sia stata effettivamente pronunciata, e aggiunge che prima degli anni Ottanta anche i giornali portoghesi non hanno mai citato con precisione tali parole.

 

Qui dove il calcio è gioia e pianto, dannazione e mistica – “Solo chi vive dentro al Benfica può sapere che cos’è il mistero, nessuno club al mondo ha una mistica uguale al Benfica”, sono le parole di Guttmann ai piedi della sua statua – la maledizione che lanciò il manager ebreo è però cosa certa. Talmente certa che il grande Eusebio, nel 1990, si recò sulla tomba del tecnico che lo aveva portato dal Mozambico al Portogallo. A Vienna, pregò perché il suo (e non più “loro” ormai da troppo tempo) Benfica, impegnato nella finale di Coppa dei Campioni contro il Milan, tornasse a vincere: puntualmente trionfarono i rossoneri, in una delle sette finali di trofeo continentale perse dal club lusitano investito in pieno da quel malaugurio.

 

Che c’è di vero, allora? Bolchover – che sulla vita di Gutmann ha fatto un lavoro d’indagine da certosino, svelando anche come si salvò dai rastrellamenti nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale – dice che secondo lui quella frase probabilmente fu detta, ma non si leva dalla testa l’ipotesi che la fissa della maledizione sia stata fomentata da una percezione dell’ebreo come essere demoniaco.

Ora si capisce, quindi, perché quella statua congela l’allenatore in un’espressione di nostalgica fierezza. E si capisce perché il Benfica e tutto il calcio portoghese – che nell’Estadio Da Luz perse in maniera clamorosa la finale dell’Europeo di casa del 2004, vinto dalla Grecia – hanno un conto aperto con la storia del calcio, mai sanato nemmeno dalla vittoria nell’Europeo del 2016 e dai fasti di CR7. Neanche quest’anno potranno sanarlo, dato che nessuna squadra portoghese è ancora in corsa per la Champions e gli europei previsti per quest’estate, dove il Portogallo sarebbe stato tra i favoriti, sono stati rimandati al 2021. E il mistero di quella maledizione si fa sempre più assillante.

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