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il foglio sportivo – that win the best

Dele Alli come i virologi, ma lui sarà squalificato

Jack O'Malley

Il calciatore inglese a febbraio rideva sui social del “virus cinese”: punito dalla FA. Datemi una birra

Nel paese che con la bava alla bocca abbatte statue di cui non capisce il significato storico, (il mio, purtroppo), per il povero Dele Alli, giocatore del Tottenham e della Nazionale, di colore ma non abbastanza per godere di impunità per le proprie idee, non poteva che finire come è finita: il bravo centrocampista inglese a inizio febbraio aveva postato su un social network un video in cui rideva dell’allarme sul coronavirus inquadrando all’aeroporto un cinese e poi una bottiglietta di detergente per le mani.

 

Erano le settimane in cui i virologi dicevano che bastava tossire nel gomito per andare in giro e che il Covid era poco più grave di un’influenza, l’Oms si era appena smentita sulla trasmissibilità del virus tra persone, il Partito democratico abbracciava cinesi a Milano ma ancora non aveva in mente gli aperitivi contagiosi, qualcuno chiudeva le frontiere con Pechino e nessuno aveva idea di quello che stava per succedere. Non sappiamo se Dele Alli abbia la vocazione del capro espiatorio, fatto sta che adesso paga per quel post con una squalifica in campo: niente sfida contro il Manchester United, quel video sottovalutava una tragedia sanitaria ed era – ovviamente – razzista. Poiché da un po’ di tempo vanno di moda le scuse per qualsiasi cosa, Alli invece di mandare a quel paese la Football Association e dire che quello che lui posta sui suoi social network, per quanto stupido possa essere, non c’entra con il suo fare il calciatore e rispettare le regole in campo, ha fatto un post nel quale si cosparge il capo di cenere: “Vorrei scusarmi di nuovo per qualsiasi problema causato dal mio comportamento – scrive – Era uno scherzo estremamente sbagliato su un virus che ci ha colpito più di quanto avremmo mai potuto immaginare”.

 

Se si andassero a leggere i tweet o i post di chiunque in quel periodo e li si giudicasse alla luce della pandemia che sarebbe scoppiata soltanto settimane dopo, non si salverebbe nessuno. Poco importa: nei giorni in cui si abbattono statue è naturale colpire gli idoli del popolo, i calciatori, investendoli di un compito educativo che non possono e non devono avere, oltre che infamarli per non avere saputo prevedere i morti per Covid tre settimane prima del primo caso conclamato in Europa. Alli naturalmente poi ci tiene a sottolineare che “disprezzo il razzismo di qualsiasi tipo”, e aggiunge: “Dobbiamo tutti essere consapevoli delle parole e delle azioni che utilizziamo e di come possono essere percepite dagli altri”. Se le idee personali su un’epidemia valgono come un’entrata a gamba tesa in campo, per cui si salta la partita successiva per squalifica, viene quasi voglia di arruolarsi con gli hooligan che hanno promesso di scendere nelle strade per difendere i monumenti della storia inglese dalla furia forsennata di questi giorni. Sono anni che provano a trasformare il calcio in 90 minuti settimanali di educazione civica. Se si arriva a squalificare un giocatore per avere scherzato su un virus arrivato dalla Cina con un video in cui inquadrava un cinese, e lui come il vostro Fantozzi ringrazia anche per la giusta punizione, significa che ci siamo bevuti il cervello. E il fatto che questo vada in fondo bene a tutti – mica si può passare per irresponsabili e razzisti, no? – mi fa venire voglia di ordinare subito un’altra birra. Per spaccarla in testa a qualcuno.

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