Foto LaPresse

facce da mondiali

Il volo libero di Dele Alli

Giovanni Battistuzzi

Il centrocampista dell'Inghilterra si appresta a giocare il suo primo Mondiale. Per Souness "il cielo è l’unico limite" del suo calcio fatto di ritmo, razionalità e anarchia

Ci vollero due settimane prima che qualcuno gli chiedesse qualcosa di quei tre minuti. Centottanta secondi a Wembley, quelli del debutto in Nazionale. Il numero 20 che subentra al posto di Ross Barkley in una notte di ottobre di quasi tre anni fa. "Dall'under 17 all'under 21 avevo vestito quella maglia qualche volta, ma indossarla con la selezione maggiore, per di più a Wembley è stato un colpo mica male. Mi domandavo se era tutto reale. Lo era. E sì che non mi sentivo degno di tanto". Tre giorni dopo e i minuti divennero ventitré. Tre anni e quella nazionale che pensava di non meritare è diventata anche la sua di Nazionale, perché dopo un Europeo giocato sempre, ma a volte così e così, e non per solo demerito suo, il tecnico Gareth Southgate ha capito che sul ragazzo, su Dele Alli, era impossibile non contare, perché "il calcio è gioco di tecnica, di tattica e di corsa e se hai un giocatore che della prima è pieno e che sa unire la seconda e la terza allora si capisce che è difficile rinunciarvi", ha detto alla Bbc. "E' un giocatore che corre, ma è soprattutto uno che corre con intelligenza", ha ribadito al Daily Mail.

 

Era lo scorso 22 ottobre, era il quarantaseiesimo del primo tempo e gli ottantamila e spicci tifosi di Wembley aspettavano soltanto il fischio che avrebbe mandato le squadre negli spogliatoi. Il Liverpool continuava ad attaccare a folate e la difesa del Tottenham iniziava a traballare, nonostante venti minuti iniziali fantastici che avevano fatto sembrare la squadra di Klopp una formazione di serie B. Eppure se il risultato era ancora sul 2-1 per gli Spurs il merito era in gran parte del centrale difensivo Jan Vertonghen che aveva frapposto la faccia al quasi tiro diretto in rete di Jordan Henderson. Mentre l'arbitro guardava l'orologio e Emre Can tentava un'improbabile giravolta, una maglietta bianca con il numero 20 sulla schiena apparve, rubò palla, accelerò per venti metri e, dopo essersi assicurato che non c'era nessun compagno libero, si accentrò e subì fallo. Trenta secondi dopo, la stessa maglietta bianca con il numero 20 sulla schiena intuì che il difensore del Liverpool avrebbe respinto male il pallone, calcolò la distanza, contò i passi, valutò gli impedimenti tra lui e la porta e calciò. Il pallone passò sotto le gambe di un avversario e si infilò nell'angolino basso alla destra del portiere, l'unico raggiungibile. Wembley si trasformò in un boato, un grido solo che lo chiamava: "Dele Alli, Dele Alli". Non un gran gol, non il più bello che il centrocampista del Tottenham ha fatto, forse quello che rappresenta meglio il suo calcio.

 

 

Dele Alli ha compiuto da due mesi ventidue anni, è inglese, è nato a nord-ovest di Londra e ha vissuto a Milton Keynes, che altro non è che una delle tante "new town" che il governo inglese creò per cercare di trovare un rimedio alla congestione abitativa della capitale. Una specie di banlieue, ma fatta bene, con infrastrutture e soprattutto con criterio: un agglomerato di case, palazzi e servizi commerciali che raggruppava in poco spazio il meglio di una città. Dele Alli è la trasposizione calcistica di Milton Keynes: un concentrato di qualità presenti altrove e reinterpretate in maniera moderna, dove convive tutto, di tutto, ma in maniera nuova. Dele Alli fa il trequartista, può fare l'esterno e il centrocampista vecchio stile; ha dribbling e tiro, attacca gli spazi, si libera, segna, fa assist e poi scende, insegue gli avversari, pressa, difende e riparte ancora. "Vive a cento all'ora, non si ferma mai", dice il suo allenatore Mauricio Pochettino, "è uno che abituato a non arrendersi". Sarà forse per la sua storia familiare, i genitori separati, l'alcolismo della madre, quel dover prendersi cura dei fratellastri e intanto cercare di non diventare un delinquente. Sarà forse per il pallone appreso nei parcheggi e nei parchi e non in una squadra. O forse per i consigli del suo scopritore, Karl Robinson, per quel "non tirarti mai indietro" diventato mantra. O forse per l'altro consiglio, "prendi il tuo ritmo, fai tuo il ritmo", che in fondo vuol dire non perderti che vai forte.

 

In tutto questo correre, in tutto questo campo percorso e ripercorso, Dale Alli però non si perde. Il suo non è un vagare a caso per il terreno di gioco è il massimo della razionalità, è Milton Keynes, è soprattutto tempismo. Il centrocampista degli Spurs "è il miglior centrocampista inglese dai tempi di Paul Gascoigne", ha detto Sir Alex Ferguson, ma al contrario di Gascoigne, non lo è per tecnica, "ma per capacità di leggere l'azione, sia offensiva che difensiva, e anticiparla. È a ritmo con il gioco, qualunque esso sia", ha sottolineato l'ex centrocampista del Liverpool, uno dei più forti del calcio inglese, Graeme Souness. Che così ha sintetizzato il suo giudizio: "Il cielo è l’unico limite per Dele Alli".

 

Alli ha piedi buoni, ma non è il meglio che si può trovare in giro; ha corsa e resistenza, ma ci sono in Europa giocatori più veloci e resistenti; ha fisico, ma non abbastanza per poterlo sfruttare per mettere in difficoltà la fisicità dei suoi avversari. Eppure in pochi riescono a fare quello che fa lui.

 

La vera forza di Dale Alli non è fisica e tecnica, è temporale, riguarda l'estrema puntualità delle sue giocate, la capacità di fare qualcosa nel momento giusto. Dice di lui il compagno di squadra Christian Eriksen: "Puoi rilanciare a casaccio il pallone e lui sarà in ogni caso lì a raccoglierlo, ha il tempismo di un giocatore di basket e la precisione di un ballerino". E Alli altro non fa che ballare, segue il tempo di una musica che ha in testa che suona uno spartito tutto suo, ma in sincronia con quello dei suoi compagni di squadra, come fosse "una cosa sola con loro".

 

 

Per l'ex tecnico della Nazionale inglese Glenn Hoddle, il numero 20 del Tottenham racchiude in sé "tutto il meglio degli ultimi grandi centrocampisti inglesi. Ha la creatività di Scholes, l'abilità di inserirsi di Lampard, la visione di gioco di Gerrard. Quando lo capirà e smetterà di incazzarsi per poco e lamentarsi per nulla diventerà il meglio che a centrocampo si possa avere", sempre che "non arrivi un allenatore che gli imponga un modo di giocare che non è il suo: ha bisogno di libertà e improvvisazione, di non sentire il calcio come un'oppressione".

 

Pochettino per ora gli garantisce tutto questo, il Tottenham se lo coccola, i tifosi lo adorano, gli avversari hanno iniziato a temerlo. Lui intanto continua a correre per il campo, tiene il suo tempo, quello che ha fatto suo.

 


 

Questo articolo è apparso il forma ridotta nel Foglio 7 marzo 2018