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il foglio sportivo

Il calcio del distanziamento spiegato con Cruijff

Giampiero Timossi

La giravolta del genio olandese serviva a entrare in porta evitando il contatto con gli avversari

Vincere per distacco. Non sarà facile, servirà equilibrio, ma ci proveranno, anche quelli del calcio. Forse potrà aiutarli mettere insieme alcune immagini, tra passato e futuro, storia, scienza e fantascienza: la corsa di Johan Cruijff, il “suo” quartiere di cemento, messe come un maxischermo sui campi d’allenamento, in questo pallone socialmente distanziato, dove regole nuove sono state scritte dentro un protocollo, sostituto (quasi) fantascientifico del solito Almanacco Panini. Vincere per distacco, è anche credere che il passato possa aiutare sempre a leggere il futuro; ti spiega come infilare la chiave nella serratura e spalancare una nuova porta.

 

Quella della casa natale di Cruijff si apriva sulla periferia di Amsterdam. Quando lui nasce, nel 1947, il quartiere scelto da papà e mamma è appena stato costruito, lo hanno chiamato Betondorp. Letteralmente si può tradurre “quartiere di cemento”. Nome semplice perché è di cemento che sono costruiti i suoi palazzi. Anche le strade, le piazze e i cortili di Betondorp sono duri come il cemento. È qui che il piccolo Cruijff impara subito che giocare a pallone è una meraviglia. Presto tutti scopriranno che il suo calcio è meraviglioso. Ha anche un suo inconfondibile stile, consiste nell’evitare gli avversari e diventerà un’arte. C’è dell’altro: nei cortili del quartiere di cemento, l’asfalto non fa sconti. Quindi è meglio adattarsi e farlo in fretta: giocare e tentare di non andare a sbattere, cadere, sbucciarsi le ginocchia. È anche, soprattutto, così che nasce lo stile di Cruijff. Non è un segreto, c’è una lunga storiografia che lo testimonia. E poi basta osservarlo anni dopo in azione. Lui è come il più grande dei navigatori olandesi, alza le vele, sceglie il vento, evita gli scogli, passa a filo delle secche, ma raggiunge la meta prima degli altri. Un porto, la porta. Così vicino e così lontano, fuoco dell’azione, evitando il più possibile di finire nel mirino degli avversari. Finta di corpo, pallone nascosto con il tacco dietro il piede di appoggio, ripartenza nel senso opposto. In tre parole: giravolta di Cruijff.

 

Certo, l’ha inventato lui e c’è voluto l’estro di uno dei più grandi campioni della storia del calcio, per molti aspetti e per alcuni critici il più grande. Ma quel colpo di genio nasce da un’esigenza: entra in porto, metti il pallone in porta, evita gli scogli, le botte degli avversari. Questo significa sapersi adattare. È una virtù, importante in uno sport di squadra come il calcio. Devi capire il prima possibile chi gioca contro di te, ma anche e soprattutto chi sta dalla tua parte. Devi adattarti alle regole del tuo club, ad ambienti che cambiano, compagni e allenatori nuovi. Gli eroi son tutti giovani e svelti. Funziona così, la scena è ambita, devi fare in fretta a capire come vanno le cose. Adattarsi è una qualità (anche) di chi gioca a calcio, per passione e professione. Sia chiara ancora una cosa: l’adattamento è anche coraggio, è quel che deve fare chi ha l’ardire di metter piede in un mondo nuovo. Il racconto del campione (olandese) lo dimostra. Hai coraggio se per primo decidi di mollare tutto, nel pieno dei tuoi anni, per andare a scoprire un calcio che chiamano ancora soccer e giocano non in Europa, ma negli Stati Uniti. Ce l’hai pure se scegli di vincere un campionato olandese giocando con i “nemici” del Feyenoord. Così, traslocando a Rotterdam dopo aver vinto ad Amsterdam, tre volte il Pallone d’Oro e altrettante Coppa del Campioni, con l’Ajax, la squadra che ti ha fatto crescere, sostituendo l’asfalto di Betondorp con un bel prato verde. Il calcio ai tempi del distanziamento è anche questo. Servirà coraggio e spirito di adattamento, ma gli eroi son tutti giovani e svelti. Hanno coraggio, è anche per questo che sono i campioni che amiamo.

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