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Correre verso il mondo che verrà

Giovanni Battistuzzi

Turismo e non solo. Buone idee per costruire un paese a misura di sport. Parla Marcello Marchioni

Fino a pochi anni fa era considerata una voluttà sportiva del tutto trascurabile. Ora ha smesso di essere snobbata, anzi ha iniziato ad attrarre l’attenzione di un numero sempre maggiore di istituzioni, agenzie turistiche e strutture ricettive. Il cosiddetto running tourism, ossia quella forma di turismo che abbina la corsa alla vacanza, è uno dei segmenti turistici che si stanno maggiormente espandendo. Secondo un recente studio del ministero dell’Economia e dell'energia tedesco – realizzato per individuare i comparti turistici da sviluppare per attrarre i visitatori stranieri – è emerso che sono oltre 250 milioni in tutto il mondo le persone che scelgono le loro mete vacanziere in base ai percorsi da poter fare correndo (o passeggiando). Un mercato in crescita che, secondo la società Risposte Turismo, potrebbe attrarre in Italia circa 43 milioni di persone all’anno. Questa mutazione nel turismo è un riflesso del cambiamento delle abitudini di ogni giorno: cresce il numero di persone che pratica sport e ciò si ripercuote anche nella scelta del tipo di vacanza. “Il nostro paese ha già iniziato a muoversi. L’obbiettivo ora è quello di insistere il più possibile, cercare di far avvicinare le nostre città al modello di sportcity”, dice al Foglio Sportivo Marcello Marchioni, presidente del Centro di Studi per l'Educazione Fisica e l’Attività Sportiva e della società sportiva Assi Giglio Rosso.

 

Pensare che una città possa evolversi in modo del tutto spontaneo per intercettare un nuovo modello di turismo è pura utopia. Gli agglomerati urbani sono innanzitutto l’espressione, non sempre omogenea, delle abitudini delle persone che li vivono. È per questo che nel ripensare le nostre città non si può non partire dalla realtà, ossia dallo studio e dall’analisi di come gli italiani utilizzano e si muovono in un luogo. È quanto ha iniziato a fare il segretario generale della Federazione italiana atletica leggera (Fidal) Fabio Pagliara. Lo scopo del progetto è quello di agevolare un cambiamento che è già iniziato, seppur in fase embrionale, all’interno del tessuto urbano delle nostre città. Ossia il passaggio, come sottolineò lo stesso Pagliara su queste colonne lo scorso ottobre, “dalle smartcity alle sportcity” grazie “a una rete di connessioni fra interpreti e protagonisti della vita cittadina, che cooperano per il miglioramento generale della qualità della vita, attraverso lo sport”. La Fidal in questi mesi ha organizzato diversi convegni in tutta Italia, tavoli di lavoro calati in realtà differenti, ma capaci di creare un unico quadro di insieme sul quale poter iniziare a lavorare.

 

Il lavoro continua e continuerà, eppure è parso evidente che un primo passo per un cambiamento reale è quello di ampliare la base di chi ritiene questa evoluzione qualcosa di auspicabile. “Una città può evolversi se esiste un substrato pronto ad accogliere questo cambiamento, insomma ci deve essere un interesse e una compartecipazione da parte dei cittadini e di chi li governa. Capire le esigenze di tutti i giorni serve per incanalare le risorse messe in campo per una trasformazione che aiuti a vivere meglio le nostre città. Per avviare questo processo virtuoso è necessario discutere, parlare, confrontarsi. Solo così si può arrivare a un punto comune, trovare delle condivisioni sul da farsi. Insomma serve espandere il bacino di dialogo, raccogliere idee e dopo realizzarle”, sottolinea Marchioni.

 

Il convegno “Sport city, viaggio nello sport che cambia la città”, che si tiene oggi a Firenze all’Assi Giglio Rosso, è uno di questi momenti. Con il presidente Marchioni si confronteranno, per discutere di come avvicinarsi al futuro e provare a cavalcarlo, il sindaco di Firenze Dario Nardella, l’assessore allo Sport del capoluogo toscano Cosimo Guccione, Fabio Pagliara, il direttore di Cities Changing Diabetes Italia Federico Serra, il presidente di Scais Dario Bugli e il segretario generale Erica Milic, Andrea Cantarella e Federico Pagliara di UStep. “Perché bisogna fare delle cose ora, continuare a costruire un modello meritevole di essere seguito e copiato anche all’estero”, aggiunge Marchioni.

 

Già negli ultimi anni piccoli tasselli di cambiamento si sono pian piano incastrati e hanno iniziato a creare un nuovo quadro d’insieme i cui effetti sono visibili in tutta Italia. “A Firenze in alcuni luoghi si è già iniziato a muovere qualcosa. Circa una decina di anni fa sono stati realizzati i primi percorsi turistici pedonali, che sono rintracciabili sia in rete sia tramite cartelli fisici, che ovviamente possono essere utilizzati anche da chi preferisce la corsa al passeggio”. Un passo iniziale che però merita di essere approfondito e implementato. “Anche perché chi amministra la città si è già reso conto che l’idea delle sportcity è un’opportunità per migliorare la vita dei cittadini. Per questo motivo credo ci siano degli spazi per costruire un dialogo che possa contribuire a creare dei modelli positivi di sviluppo urbano”. Perché “una città che permette facilmente alle persone di praticare attività fisica all’aperto è una città piacevole, attraente, dove si vive meglio”.

 

Ovviamente questa trasformazione necessita un cambiamento sia culturale, che coinvolge le nostre scelte soprattutto in fatto di mobilità, sia infrastrutturale: “L'aumento di piste ciclabili, spazi pedonali, aree attrezzate dove praticare sport all’aperto sono un valore aggiunto per una città. Ma il solo incremento del numero di queste infrastrutture – aggiunge Marchioni – però non basta, serve costruire una rete che possa permettere alle persone di muoversi liberamente per generare sensibili benefici”.

 

E in questo lo sport può essere un volano: “Soprattutto quando si occupa di aspetti sociali, lo sport, le federazioni, i campioni, sono capaci di dare la spinta per un cambiamento reale delle abitudini delle persone. L’obiettivo della Fidal – conclude Marchioni – è quello di contribuire a dare il via a questo sistema virtuoso. Certo il lavoro è molto, ma la possibilità di fare bene c’è. Per questo dobbiamo insistere”.

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