Il calcio del futuro, tra uomini e Virtual Coach. Una guida

Arriva il Football Virtual Coach sulle panchine di Serie A. Guida alla filosofia di uno strumento utile e rivoluzionario che non vuole annullare l’intuito degli allenatori e l’imprevedibilità dei calciatori

Jacopo Pozzi

“There are three kind of lies: lies, damn lies, and statistics”

 

Questo è stato uno dei motti più utilizzati e ricorrenti nel racconto dello sport a stelle e strisce ed è un lascito culturale niente meno che di Mark Twain. Il novellista lo riconduce al politico inglese del XIX secolo Benjamin Disraeli, conservatore convinto e amico personale della regina Vittoria. In un clima da campagna elettorale permanente il motto serviva a smantellare le granitiche certezze statistiche esibite da una fazione per soverchiare dialetticamente l’altra di fronte alla massa dei votanti. Si trattava della più spiccia e rapida rivendicazione dei professionisti della politica nei confronti della plebe. Esistono le menzogne, e questo si sa, ma, cari elettori, fidatevi ancora meno delle statistiche, che di certe menzogne sanno essere persino peggio, se non siete in grado di capirle.

 

“Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le maledette bugie e poi le statistiche”

 

Per anni, questo adagio è stato stropicciato da decine di giornalisti e di opinionisti, provenienti dalla carta stampata o dalla tv, nel tentativo di farsi garanti unici di un sapere tecnico/tattico impenetrabile, conservato dai soli addetti ai lavori, utile a interpretare nella maniera corretta il gioco, qualunque gioco. Sono gli intangibles, intraducibile adeguatamente in italiano; e rappresentano per definizione “quello che non va nelle statistiche”. L’insieme di atteggiamenti, movimenti, sfaccettature e chimica che una rilevazione statistica non riuscirebbe mai a cogliere, mentre un allenatore invece sì.

 

L’allenatore, che è il plenipotenziario di un microcosmo in cui conta soltanto una cosa: vincere. Poche cose al mondo, infatti, sono governate dai risultati quanto lo sport professionistico. Rispetto al gioco e alla competizione, certo, ma anche nei confronti di tutto quello che gli gravita intorno. Contratti pubblicitari, innovazioni tecnologiche, velocità d’esecuzione, vendita dei diritti televisivi e persino la narrativa che circonda lo sport si trasformano in una corsa verso la costante ridefinizione di un primato d’eccellenza. Chiunque abbia avuto la fortuna di visitare le strutture di una qualsiasi squadra americana, per citare chi di quel primato è detentore, riferisce di metodologie di allenamento e di scouting anni luce avanti rispetto alle omologhe strutture europee. Una parte rilevante di questi processi di selezione d’investimento, che le franchigie fanno tanto sugli uomini quanto sui mezzi, è affidata alle tecnologie più avanzate di analisi statistica. E questo è un fatto. Un fatto che da rilevante è diventato ormai imprescindibile.

 

Ad inizio millennio la MLB ha saputo tracciare prima di tutti gli altri un percorso nuovo, iniziando un processo di modernizzazione dell’analisi statistica da offrire agli staff tecnici. La ricettività della lega professionistica del baseball ha modificato radicalmente l’approccio allo scouting, mettendo a disposizione dell’allenatore una grande varietà di valutazioni numeriche sulle quali costruire una squadra in grado di seguire la propria filosofia di gioco.

 

Il rapporto osmotico tra campo e computer nell’universo baseball è stato talmente rivoluzionario da diventare protagonista del film Moneyball, uscito nel 2011. La produzione, diventata un instant classic, racconta la storia di Billy Beane, il general manager degli Oakland A’s, capace di costruire una squadra arrivata a vincere le World Series, attraverso le statistiche avanzate e la loro traduzione in conseguenti scelte di mercato. Un vero e proprio manifesto ideologico, un blockbuster che non può mancare nella vostra raccolta di film sportivi.

 

Dieci anni dopo il panorama è cambiato drasticamente. In meglio.

 

Lo sport continua a essere un territorio affascinante e misterioso nel quale la performance fisica, tecnica e tattica di un atleta è legata a doppio filo alle qualità umane e professionali di chi è stato incaricato per sceglierlo e allenarlo. I principali automatismi di una squadra restano governati da una serie di processi comunicativi e gestuali che solo chi ha tanti anni di esperienza sul campo sa interpretare efficacemente con un colpo d’occhio.

 

Come accade nella maggior parte delle discussioni tra filosofie è l’interazione tra le parti a determinare cosa accadrà in futuro e non uno scontro a eliminazione diretta tra scienza ed esperienza.

 

L’esperienza e il genio di Mourinho e Guardiola, per intenderci, non si creano in laboratorio e non vanno mai fuori moda. Nel frattempo, però, anche la tecnologia ha fatto per bene i “compiti a casa” portando, grazie a nuovi livelli di sofisticazione, i nostri giochi preferiti dentro al terzo millennio. Il calcio, da sempre industria trainante alle nostre latitudini, ha intasato per anni le colonne dei giornali sportivi del lunedì mattina con un’impressionante sequenza di dati statistici piuttosto semplicistici. Percentuale di passaggi positivi, chilometri percorsi, palle perse. Fino al pomo della discordia per antonomasia nella disputa tra giochisti e risultatisti: i tiri in porta contro la percentuale di possesso palla. Un approccio dualistico, supportato da una produzione statistica imperiosa, riassunto magistralmente per tutti noi dagli 883 ne “La dura legge del gol”.

 

In Italia, come spesso ci accade, riusciamo a eccellere, spiccando per innovazione anche nei settori apparentemente monopolizzati da grandi colossi internazionali. È il caso della recente adozione da parte della Lega Serie A del Football Virtual Coach, un software di intelligenza artificiale, che verrà fornito agli staff di tutte le squadre a partire dal girone di ritorno. La visione di uno spicchio di futuro, da parte della Lega, che ha deciso di mettere, di tasca propria, uno strumento innovativo al servizio degli allenatori e quindi, si spera, anche dello spettacolo. L’opinione pubblica, appassionata alle lotte di concetto fin dai tempi di Guelfi contro Ghibellini, non ci ha messo molto a schierarsi da uno dei due lati della barricata, uomo contro macchina, come se davvero si trattasse di questo. Il progetto, però, che è frutto di uno sforzo completamente italiano, si muove nei territori più moderni della narrativa sportiva contemporanea, cercando di uniformare lo standard nostrano a quelli di maggior successo su scala globale.

 

Al più alto livello possibile, non soltanto nello sport d’oltreoceano ma anche, per esempio, nel Liverpool dei record di Jurgen Klopp. Nell’operato del tedesco, che raccoglie consensi a ogni latitudine, l’applicazione pratica di questi nuovi strumenti è affare di ogni giorno e aiuta l’empatico manager tedesco a trasformare la propria, inconfondibile, filosofia di gioco in goduria pura per i tifosi.

 

Innovazioni di tale portata non sono mai solamente tecnologiche, ma si portano sempre appresso anche un cambiamento di tipo culturale, che necessita di una traduzione e di un periodo di adattamento e di reciproco studio. I primi confronti con gli staff tecnici delle squadre della nostra serie A hanno dato segnali molto positivi, soprattutto rispetto all’elevato livello di personalizzazione che verrà offerto a ogni allenatore.

 

Ed è qui che risiede il grande distinguo per capire la forza di questo tipo di innovazioni: il tablet, il computer, l’algoritmo non portano in dote una propria idea di calcio, ma vengono modellati sulle richieste specifiche del singolo allenatore, diventando come un “assistente in più”, capace di processare i dati che il manager sceglie di monitorare, praticamente in tempo reale. La centralità del fattore umano non è in discussione ma viene anzi esaltata dalla progettazione di strumenti in grado di aiutare gli allenatori a tradurre le proprie visioni in impalcature tattiche. 

 

Non una rottura con il passato, ma la normale ricerca del bello, che prosegue come sempre grazie alle innovazioni creative e da perseguire, oggi, con i mezzi che la tecnologia ha da offrire a manager, giocatori e tifosi, per trasformare sempre meglio le idee e le filosofie in uno spettacolo da 90 minuti. Più recupero.

 


 

Math & Sport nasce nel 2016, grazie all’intuizione di Alfio Quarteroni e di Ottavio Crivaro, attuale CEO (ospite, con l’esperto di match analysis Adriano Bacconi e il responsabile editoriale della Lega Serie A Lorenzo Dallari, giovedì scorso all’evento su tecnologia e sport organizzato dal Foglio in Università Cattolica a Milano), ed è parte del network PoliHub, del Politecnico di Milano. La mission di Math&Sport è la trasformazione del grande volume di informazioni generato nello sport contemporaneo da semplice curiosità statistica, o oggetto di analisi post partita, a strumento per migliorare la performance in tempo reale. Math&Sport applica modelli matematici avanzati e algoritmi di machine learning allo sport, affiancando gli atleti e i tecnici nell’ottimizzare la resa del gesto tecnico e la messa a punto delle tattiche di gioco in presa diretta. Fin dalla sua fondazione M&S ha sempre lavorato a fianco dei tecnici e delle istituzioni, per creare strumenti in grado di rispondere alle loro esigenze specifiche. Da Mauro Berruto al Centro Tecnico Federale di Coverciano, fino a Davide Mazzanti, coach della Nazionale femminile di volley vicecampione del Mondo.

Il Football Virtual Coach è un prodotto innovativo. Sfrutta l’enorme quantitativo di dati che viene raccolto e, grazie a un meccanismo di intelligenza artificiale, li rielabora ogni 40 millisecondi, per avere un quadro in tempo reale di quello che succede in campo. La peculiarità del prodotto è che ogni singolo tablet verrà progettato e programmato seguendo i desiderata dell’allenatore. Infinite possibilità di customizzazione. Sarà il singolo allenatore a impostare quali dati monitorare per restare “dentro la propria idea di calcio” e non di certo il prodotto a portarne una propria. Impostato il prodotto, il tablet, con delle semplici notifiche push, notifica allo staff se i dati che hanno deciso di monitorare stanno raggiungendo i livelli di guardia e richiedono una valutazione del coach. Un assistente in più, con il cervello capace di valutare i dati che gli chiede il coach in tempo reale, che la Lega “regala” a ogni squadra.

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