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Finanziamenti e colonialismo pallonaro. L'espansione silenziosa del calcio ungherese

Francesco Caremani

Così Budapest finanzia alcuni club fuori confine. L'idea è quella di crescere in questi club giocatori con passaporto ungherese che possano arricchire le rappresentative federali. C’è però dell'altro

FK Dac 1904 Dunajská Streda (Superliga, Slovacchia), MFA Munkacs Mukacheve (Oblast, Transcarpazia, Ucraina), Sepsi OSK Sfântu Gheorghe e Futball Klub Miercurea (rispettivamente Liga I e Liga II, Transilvania, Romania), NK Nafta Lendava 1903 (Druga slovenska nogometna liga, Slovenia), Nogometni Klub Osijek (Prva HNL, Croazia), TSC Bačka Topola (Superliga, Serbia). Sono sette squadre che militano in sette diversi campionati di sei differenti nazioni. Potrebbero benissimo essere le protagoniste di un torneo che rimandi alle vecchie, affascinanti, sfide di quel calcio mitteleuropeo che con quello inglese ha lasciato in eredità alcuni tratti distintivi del gioco. Ma non è così. Questi club hanno in comune altro che con la Mitropa ha poco o nulla a che fare: nascono in territori oltre confine che una volta appartenevano al Regno d’Ungheria e dove oggi vivono molti cittadini di origine ungherese, spesso con doppio passaporto. Origini che, in qualche modo, sono state trasferite anche alle rispettive società sportive. Questi club dal 2013 al 2018 hanno infatti ricevuto finanziamenti per 70 milioni di euro, dalla federazione e dal governo di Budapest, attraverso la fondazione Bethlen Gabor. Federazione e governo che però una volta interrogati sull’argomento, si sono rifiutati di rispondere. I finanziamenti, in ogni caso, sono stati stanziati, soprattutto, per costruire accademie e stadi, ma pure chiese e scuole.

 

Da Dunajská Streda si può vedere il Danubio. La città conta 25.000 abitanti, di cui l’80 per cento ungheresi, e da poco è stata ultimata la Dunajská AC, l’accademia del club che raccoglie 300 giovani calciatori. È sorta su un ex zuccherificio ed è costata 14 milioni di euro, dei quali la federazione slovacca ne ha versati solamente 500.000. Il deus ex machina di questa operazione è stato Oszkar Vilagi, vicino al premier Viktor Orban, impegnato in politica all’interno di un sedicente movimento ungherese e direttore della filiale slovacca della compagnia petrolifera Mol. La rosa è composta da slovacchi, ungheresi, cechi, ucraini, africani, centro e sudamericani, senza contare che questo club ne ha uno satellite nella serie B slovacca, l’ŠTK 1914 Šamorín.

 

Il TSC Bačka Topola, che nel 2003 aveva cessato l’attività, oggi è uno dei club meglio organizzati della Serbia. I soldi arrivano dalle aziende di Janos Zemberi, membro del Consiglio esecutivo della federazione serba ed eletto a suo tempo nella locale amministrazione con la lista dell’Alleanza degli Ungheresi di Vojvodina. Il TSC ha una società satellite in quarta serie, ma con i legami creati sono addirittura quattordici i club che, a cascata, vivono grazie a questi finanziamenti che arrivano dall’Ungheria. Con due ordini di problemi, il rischio di triangolazioni nella compravendita dei calciatori e alcuni casi di partite truccate.
A Osijek aspettano la realizzazione del nuovo stadio, costato 35 milioni di euro, che dovrebbe essere pronto nel 2020 e contenere 13.000 spettatori. Il presidente del Nogometni Klub Osijek, Ivan Mestrovic, è legato a Lorinc Meszaros, proprietario della Puskas Akadémia di Felcsut, villaggio natale di Orban, del quale Meszaros è sindaco.

 

La motivazione ufficiale dei finanziamenti è quella di crescere in questi club giocatori con passaporto ungherese che possano arricchire le rappresentative federali. C’è però chi vede in questa operazione un obiettivo politico espansionistico.

 

Quello che è accaduto al difensore centrale Adrian Rus è, quantomeno, paradigmatico. Il ventitreenne, nato in Romania, si è formato alla Puskas Akadémia e questa estate ha firmato per il MOL Fehervar (primo in classifica nella massima serie ungherese, NB I) dopo essere andato in prestito al Sepsi OSK Sfântu Gheorghe. Quando il Ct della Romania l’ha convocato, in vista delle qualificazioni al Mondiale del 2022, Rus ha accettato, rinunciando così all’Ungheria. Tutto a posto? No: il club l’ha escluso dalla rosa e l’ha mandato a giocare con la squadra riserve. Uefa e Fifa stanno cercando di fare luce sull’atteggiamento discriminatorio dei dirigenti, che pare nascondere altro.

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