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Se il calcio è un gioco da influencer

Giovanni Battistuzzi

Com'è cambiato il mondo del pallone e il suo pubblico di riferimento. A Roma inizia domani il Social Football Summit, una due giorni per capire dove sta andando il “giuoco più bello del mondo”

Era un mondo semplice quello del calcio. Bastavano un presidente danaroso, un direttore sportivo intelligente e bravo a valutare il talento dei calciatori, un allenatore capace di tirare fuori il meglio dai propri uomini, almeno una quindicina di calciatori di buon livello e quanto meno un campionato finiva in bacheca e così si aprivano le porte dell'Europa. Se il talento era molto magari si alzava una coppa al cielo. L'Europa era una vetrina di prestigio, “il luogo d'elezione dove far brillare il meglio che un torneo nazionale poteva offrire”, scrisse Vittorio Pozzo all'epoca del primo trionfo di un'italiana, il Milan. Era il 22 maggio del 1963 e la compagine guidata da Nereo Rocco aveva appena battuto il Benfica di Eusebio per 2-1 nella finale di Coppa dei Campioni.

  

Ora le cose sono cambiate. Un presidente danaroso non basta più, anche se è necessario, e i confini del calcio sono talmente grandi da non esistere, occupano (più o meno) il mondo intero. Anche le squadre non sono solo squadre, si sono trasformate in altro: dai confini cittadini, regionali, nazionali, si sono allargate sino al continente d'appartenenza e poi ancora più in là. I loro colori e i loro vessilli sono diventati marchi, ossia brand, in pratica segni distintivi riconoscibili ovunque, quasi come un'etichetta della moda. E in tutto questo, data l'epoca storica, hanno mutato, almeno su larga scala, le partite in eventi, la passione calcistica in appartenenza, il tifo in brand equity. Si sono trasformate insomma in una macchina complessa che, se gestita bene, è capace di alimentare sé stessa senza più nemmeno il bisogno di un presidente che impegna vita e patrimonio per portare avanti le magnifiche sorti e progressive della società.

     

Ne sono passati di palloni sotto i ponti del calcio da quando l'ex presidente del Napoli (stagione 1967-1968) Gioacchino Lauro diceva ai suoi atleti di farsi vedere sui giornali e sui rotocalchi, di parlare con le radio e di non rinunciare agli avvenimenti mondani importanti. D'altra parte “l'importante è che si parli del Napoli, così arriva più gente allo stadio”. Perché quello, il numero di biglietti staccati, era ciò che permetteva alle società di esistere, crescere, arricchirsi e, quindi, investire in giocatori aspettando le vittorie.

   

Oggi a differenza di allora però lo stadio è una delle voci minoritarie all'interno dei bilanci dei club tanto che conta “appena” il 24 per cento in quello del Barcellona – il Nou Camp contiene sino a 99.354 spettatori –, il 17 per cento in quello del Bayern Monaco – e i 75.000 posti dell'Allianz Arena sono sempre occupati a ogni partita casalinga dei bavaresi –, il 18 per cento in quello del Paris Saint-Germain e l'11 in quello del Manchester City.

   


Infografica tratta dal report “The European Champions 2019” di KPMG 


  

A contare è altro. I diritti televisivi certo ma, soprattutto, il settore commerciale, ossia quanti contratti di sponsorizzazione si riescono a firmare, quante magliette si vendono e quante attività griffate con il logo del club si riescono a far fruttare (cose che vengono ovviamente sostenute dalla sovraesposizione mediatica). Le società calcistiche sono imprese e hanno bisogno di fatturare. E per fatturare hanno necessità di conquistare il mercato più ampio possibile, essere marchi globali. E per realizzare tutto ciò oltre ai risultati sportivi, oltre alle coppe alzate, ai campionati vinti, servono le facce da mettere in copertina, ossia i campioni buoni per diventare testimonial di un brand. E i social network, tutti. Per questo i club pallonari si sono trasformati in influencer. Per questo non sono più solo società calcistiche, sono diventati aziende che assieme al calcio vendono tutto il resto, un senso di appartenenza che è diventato simbolo da esibire, una narrazione di vita non solo sportiva all'interno della quale riconoscersi e riconoscere l'esistenza di un mondo a noi affine.

 

Uno scenario questo che è ancora in via di trasformazione, che cambia al cambiare degli interessi e del mercato, soprattutto dalla possibilità di conquistare nuove fette di mercato, di nuovi territori. Uno scenario che verrà approfondito a Roma il 20 e il 21 novembre allo stadio Olimpico durante il Social Football Summit, ossia due giorni di dibattiti, incontri e attività di networking interamente dedicati al digital marketing e all’innovazione nel mondo del calcio (qui il programma). L'evento organizzato da Social Media Soccer e Go Project – e patrocinato dal Coni, dall’Istituto per il Credito Sportivo, dalla Federazione Giuoco Calcio, dalla Regione Lazio, da Roma Capitale –, è un utile punto di partenza per capire la trasformazione di questo sport e quale potrebbe e dovrebbe essere il suo futuro.

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