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La tragedia delle wags hackerate e altri racconti

Jack O'Malley

Il maltempo in Giappone, il record non voluto dell’Italia del rugby e la notizia della settimana

C’è qualcosa di più ridicolo di chi a fine agosto dava per finita la Juventus di Sarri, da quarto posto il Milan di Giampaolo, quasi sicura del passaggio del turno in Champions l’Atalanta, rinato il Manchester United, da scudetto il Napoli: sono i giapponesi, che sono riusciti a fare organizzare ben due manifestazioni sportive clamorose nei giorni in cui tradizionalmente il paese è attraversato dai tifoni. Sulla Formula 1 non mi dilungo, se non per ricordare la nazionalità del pilota più forte e a breve campione del mondo per la sesta volta in carriera (inglese, ma tu guarda). Sul rugby posso dire che mi dispiace non avere avuto l’occasione di battere anche la Francia, mentre non capisco il dispiacere italiano per non avere preso mazzate pure dalla Nuova Zelanda: potranno dire di essere stati quelli che hanno fermato la corsa da record degli All Blacks. Naturalmente sto scherzando, capisco che per chi degli Azzurri (posso chiamarli così? O da quando c’è la maglia verde nel calcio passo per sovranista se non dico anche io che è così moderna e cool?) avrebbe giocato la sua ultima partita in Nazionale finire contro i (quasi) più forti del mondo sarebbe stato bello. Peccato per il tifone, insomma, ma siamo ottimisti: nel giro di qualche anno Greta Thunberg ci guiderà al taglio delle emissioni che farà sparire i cicloni, così potremo organizzare tutti i tornei sportivi del mondo a ottobre in Giappone (adesso però ordino una birra, che tutto questo parlare di CO2 mi ha messo sete di bevande gassate).

 

Nei giorni in cui l’esonero dell’allenatore del Milan è arrivato dopo le esternazioni su Instagram del figlio di Boban, la notizia della settimana non poteva che venire dall’Inghilterra: per una volta non parlo di buu razzisti, di maschilisti che osano definire un po’ lento il calcio femminile e per questo meritano di morire, né di ultras neofascisti da estirpare come curdi in Siria. Parlo della meravigliosa lite tra Coleen Rooney e Rebekah Vardy. Fiere esponenti di un mondo a cui presto i liberatori progressisti metteranno fine, quello in cui lo status di una donna è ancora dato dall’essere moglie o fidanzata di un calciatore famoso (le wags), le compagne dei due famosi attaccanti inglesi erano molto amiche fino a qualche tempo fa. Da buone amiche si seguivano su Instagram, e Coleen aveva permesso a Rebekah di entrare a far parte degli happy e fidati few che possono vedere le sue stories sul noto social network. Stories in cui Coleen pubblicava i cazzi propri, così attenta alla riservatezza e gelosa per la propria privacy. I contenuti delle stories finivano però regolarmente sul Sun, e quella volpe della signora Rooney ha pensato: vuoi vedere che qualcuno dei miei contatti le passa ai giornalisti. Grazie a un astuto stratagemma, Coleen ha fatto sì che soltanto Rebekah potesse vedere certe stories, e quando le ha ritrovate riportate sul Sun ha accusato l’amica pubblicamente. L’amica, indignata come una concorrente di Temptation Island, ha detto che lei non avrebbe dovuto nemmeno rispondere, ma che lo faceva lo stesso. “Perché non mi hai telefonato?”. Poi, però, il colpo di genio, che potrebbero adottare anche gli allenatori quando devono spiegare il motivo per cui la squadra in campo non ha seguito le loro indicazioni: “È stato un hacker!”. E io sono astemio.

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