Elaborazione grafica Enrico Cicchetti per Il Foglio (tutti i diritti riservati)

Che bello questo calciomercato

Gianfranco Teotino

Lukaku, De Ligt e gli altri: siamo finalmente tornati a divertirci in estate. Anche se qualcosa non va

Il mercato più interminabile della storia del calcio è però anche uno dei più spettacolari degli ultimi anni, almeno per quanto riguarda le vicende di casa nostra. Grandi affari, fatti o magari soltanto immaginati, ma sempre assolutamente credibili. Già due acquisizioni, se non a livello di Cristiano Ronaldo, di sicuro molto vicine, se parliamo di valore economico, ma pure calcistico, delle operazioni: De Ligt e Lukaku. Le discussioni infinite sulle bizze dei giocatori, quelli che se ne vogliono andare e quelli che non se ne vogliono andare, nonostante siano dichiarati non graditi, vedi Icardi, Higuain, Dybala, giusto per fare qualche nome. E alcune caratteristiche che, se non nuovissime, si stanno radicando al punto da cambiare i connotati al modo di condurre le trattative e da alimentare nuove preoccupazioni sul futuro del calcio italiano, e non solo italiano.

  

Agenti serpenti

Sono ormai loro i veri padroni del mercato, capaci di avvelenare dirigenti e proprietari dei club, ma anche i calciatori loro assistiti, talvolta inconsapevoli, che per qualche dollaro in più li fanno ingrassare, a costo di rinunciare a importanti opportunità di carriera. Ultimo esempio che ci riguarda: Pépé, giovane e molto promettente ala del Lille, è stato convinto a preferire l’Arsenal (che farà l’Europa League) al Napoli (che farà la Champions), grazie a qualche centomila euro di ingaggio in più, soltanto dopo che De Laurentiis aveva – giustamente – resistito alla richiesta di versare ai suoi agenti la decina di milioni di commissioni richieste. La stessa cessione di Dybala è stata bloccata (finora) anche dalle pretese eccessive degli agenti del calciatore. Negli ultimi anni in questo modo sono stati bruciati 2 miliardi di euro che il mondo del calcio ha prodotto e che dal mondo del calcio sono usciti per finire nelle tasche di affaristi che non li rimetteranno in circolo. In questo festival dello sperpero, l’Italia, come purtroppo spesso capita, si colloca in prima fila. I numeri sono chiari. Soltanto in Inghilterra, beati loro che se lo possono permettere, nel 2018 si è speso più che in Italia in intermediazioni: 136,7 milioni di euro contro i nostri 116,3. E i dati del 2019 saranno peggiori. La Juventus, per dire, per gli affari Ramsey, De Ligt e Rabiot, ha dovuto sborsare la bellezza di circa 30 milioni di sole commissioni.

  

Plusvalenze immaginarie

Il più grande successo del calcio italiano nell’ultimo decennio è stata la capacità di esportare la sua maestria tattica trasferendola dai campi di gioco alle trattative di mercato. Certi scambi, di quelli che se leggi le valutazioni ti scappa da ridere, non sono più una nostra prerogativa domestica. Prendete l’affare fra Juventus e Manchester City che ha portato Cancelo in Inghilterra e Danilo in Italia. Il terzino brasiliano ha migliorato il record di Spinazzola, che pure sembrava imbattibile: con 13 partite da titolare negli ultimi due campionati inglesi (4+9) è stato valutato 37 milioni, mentre il neo-romanista con 23 partite da titolare negli ultimi due campionati italiani (17+6) è stato valutato 29,5 milioni. Soldi di Monopoly, euro di carta straccia, buoni soltanto per gonfiare i bilanci. Le plusvalenze, oltre 713 milioni nella stagione 2017-18, rappresentano ormai il 23 per cento del valore complessivo della produzione della Serie A. Sono cresciute del 66 per cento nell’ultimo quinquennio e sono ormai giunte a un livello paragonabile a quello che nel 2003 spinse governo e Parlamento a varare una discutibile legge spalma-ammortamenti per evitare che lo scoppio della bolla mandasse in crash l’intero sistema.

  

Tiri Mancini

Lasciate ogni speranza voi che avevate creduto alla possibilità che le intuizioni di Mancini e i risultati (e il gioco) della sua Nazionale potessero ribaltare i pregiudizi contro i giovani radicati nel calcio italiano. La Juventus si è affrettata a vendere Kean e il Milan Cutrone, il rossonero forse persino un po’ sottocosto. Entrambi giocheranno in Premier, che è una buona cosa, per carità, un’esperienza internazionale importante, per quanto vada tenuto presente che non faranno le Coppe europee, l’ex bianconero all’Everton di sicuro, l’ex rossonero al Wolverhampton speriamo di no (c’è di mezzo il Torino…). Un peccato che giocatori tanto interessanti (più Kean di Cutrone, opinione personale) siano stati così snobbati, dopo avere contribuito con la formazione nei settori giovanili a farli diventare quel che sono diventati. Per non parlare di Pinamonti, che l’Inter ha spedito al Genoa, o di Pellegri, un 2001, è bene ricordare, alle prese con guai fisici importanti, ma già sbolognato all’estero, al Monaco, l’anno scorso. Altro che largo ai giovani.

  

Cupio dissolvi

Se ci fosse una notte degli Oscar del calciomercato, l’Inter si aggiudicherebbe la statuetta per questa categoria. Anche se non solo per questa: con gli acquisti già conclusi di Godin, Sensi, Barella e Lukaku sta nascendo davvero una squadra fortissimi. Epperò, da febbraio a oggi, la capacità di autodistruzione del club nerazzurro ha raggiunto livelli inimmaginabili. Non era mai successo in passato che una società riuscisse a deprezzare (e disprezzare) in modo così pervicace i suoi tre giocatori migliori. Prima Icardi, poi Nainggolan, infine Perisic. Un en-plein straordinario, davvero inconcepibile per un club, che senza stadio di proprietà, con ancora poca penetrazione (nonostante gli sforzi di Suning) sui mercati internazionali, basa la propria ricchezza sui calciatori tesserati e sul prestigio del marchio.

 

Pagherò

 Ecco un’altra abitudine che il calcio italiano sta cercando di esportare, questa con qualche difficoltà in più: le vecchie cambiali come nuova forma di pagamento. Altro che cripto valute. Le modalità di rateazione nel corso degli anni stanno diventando oggetto di trattativa quasi più importante del valore attribuito al cartellino di un giocatore. Così fan tutti, ormai anche a livello internazionale. Un po’ meno semplice è convincere la maggior parte dei club stranieri a aderire alle formule più contorte e spregiudicate dei prestiti con diritto, o obbligo, di riscatto, contro riscatto, recompra, percentuale sulle future rivendite e così via alambiccando modalità sempre più creative di transazione. In genere, all’estero preferiscono semmai un banale prestito, magari neppure oneroso. Trogloditi che seguono ancora il vecchio adagio pagare moneta, vedere cammello.

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