Erano fighetti, svizzeri e intellò. Ecco perché si chiamano Young Boys

Giovanni Battistuzzi

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In Svizzera il calcio è nato come una cosa da fighetti. L'avevano portato gli studenti britannici delle Università di Ginevra e Losanna sul finire degli anni Sessanta dell'Ottocento, aveva poi attecchito a Berna e da lì si era diffuso nel resto del paese. I ragazzotti delle famiglie della ricca borghesia elvetica parlavano e vestivano all'inglese. Era quella che lo scrittore Gottfried Keller descrisse come la "moda insana della English way of life, ossia la perversione dei giovani a credere che l'esotismo anglofono fosse la rappresentazione di qualsiasi bellezza". In tutta questa anglofilia il giocare a pallone divenne lo sport per eccellenza di chi voleva piacere.

  

Il primo a portare il calcio fuori dal mondo universitario fu l'Fc Bern, fondata nel 1894 dal medico Felix Schenk, convinto che lo sport, soprattutto il calcio, potesse essere la forma migliore per migliorare le condizioni fisiche della popolazione elvetica. Schenk veniva dall'alta borghesia bernese, ma aveva una fede progressista talmente incrollabile che aprì le iscrizioni alla squadra "a qualunque uomo, di qualsiasi estrazione sociale volesse praticare il football seguendo la pulizia delle azioni, del modo di pensare e dell'esercizio degli obblighi sportivi e morali". La cosa funzionò in città sino a quando sui campi di gioco i fratelli Max e Oskar Schwab incontrarono Hermann Bauer e Franz Kehrli e con loro si convinsero che il calcio dovesse essere altro: non solo un sport per migliorare la forma fisica, ma anche quella intellettuale. Giocare a calcio come primo passo per la costruzione di nuove idee. E dovevano essere idee nuove, idee giovani. I quattro, tutti tesserati con l'Fc Bern, studiavano all'Università di Berna, erano forti e nei campionati universitari erano pressoché imbattibili. Per questo chiesero spazio all'interno della squadra, volevano la gestione della parte sportiva e l'autonomia necessaria per decidere in che modo dovesse essere gestita la formazione secondo la loro idea di sport. La dirigenza espresse un secco no e che non erano previste eccezioni al regolamento in vigore.

  

Era il 1898 e i quattro decisero di andarsene. Per giorni discussero sul nome da dare al nuovo club. Poi l'illuminazione. Dopo aver visto l'Fc Bern perdere sonoramente contro i gialloneri dell'Old Boys di Basilea – "La peggior sconfitta della sua giovane storia", titolò il quotidiano locale – i quattro decisero che il club sarebbe stato uno sberleffo a chi non li aveva voluti: si sarebbero chiamati Young Boys, si sarebbero vestiti di giallo e di nero e sarebbero diventati la prima squadra di Berna.

 

Non ci volle molto. L'Fc Bern aveva come missione il bel gioco, il nuovo club la vittoria: il primo titolo arrivò nel 1903, cinque anni dopo la fondazione, tre anni dopo la decisione che mentre si gioca a calcio bisogna pensare a giocare a calcio e non a cercare di rivoluzionare il mondo. Tra le velleità intellettuali dei fondatori e la realtà si frappose un'industriale bernese che aveva da anni problemi con la famiglia Schenk – il padre del dott. Felix era stato consigliere della Federazione elvetica e nel corso del suo mandato aveva portato avanti politiche sociali invise agli industriali – e che tramite il calcio voleva vendicarsi. L'idea di un ritrovo di grandi menti universitari svanì subito. Quel che rimase fu un club che abbracciò, anche se in modo abbastanza primitivo, il professionismo.

 

Ogni tanto però le origini ritornano. Negli anni Cinquanta sulla panchina dei gialloverdi si sedette Albert Sing, tedesco, buon calciatore della Germania degli anni Quaranta, inviso però al regime per la sua formazione filosofica vicina alle posizioni di Eduard Bernstein, tra i fondatori del Partito socialdemocratico di Germania. Sing si interessava di filosofia e cercò di portarla anche in campo. Secondo lui il calcio era nient'altro che estetica e lo Young Boys doveva essere "rappresentazione del bello".  E fu un bello estremamente vincente: quattro titoli consecutivi dal 1957 al 1960, cinque coppe nazionali. Soprattutto la straordinaria Coppa dei Campioni nel 1959 quando si arrese solo in semifinale allo Stade Reims di Just Fontaine e Roger Piantoni.

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