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Adesso in Francia la radicalizzazione islamista passa dallo sport

Mauro Zanon

Dal calcio alla boxe, passando per il karate e la lotta libera, nessun sport in Francia è stato risparmiato dalla diffusione del virus jihadista

Parigi. Si tende a pensare che le prigioni e le moschee siano i principali luoghi di radicalizzazione, le prime fornaci di islamisti pronti a immolarsi in nome di Allah nell’infedele occidente. Ma in realtà, il terreno più fertile per il proselitismo jihadista è lo sport, un universo per molto tempo sottovalutato dall’intelligence francese. Médéric Chapitaux, ex gendarme e istruttore di sport di combattimento, ha deciso, due anni fa, di scrivere un libro per denunciare le falle del sistema di sicurezza di Parigi, e ora gira la Francia tenendo conferenze per mettere in guardia i suoi concittadini dai legami pericolosi tra club sportivi e islam radicale. “Non siamo stati capaci di accorgerci in tempo dei segnali deboli”, ha spiegato la scorsa settimana a Chambéry, nel sud del paese, davanti a una platea di gendarmi, poliziotti, magistrati, insegnanti e responsabili di club sportivi. Tra i “segnali deboli” trascurati dagli educatori e dai servizi, secondo Chapitaux, vi è l’uso sempre più frequente dei leggings sotto i pantaloncini corti per nascondere la pelle, i tappeti da preghiera nascosti negli armadietti, ma anche il tacito divieto della nudità nelle docce: un’applicazione rigorosa delle norme di vita raccomandate dall’islam. “Gli istruttori non sono stati in grado di capire la vastità del fenomeno. E quando si prova a mettere delle regole, si rischia di essere tacciati di razzismo. Siamo arrivati lentamente a questo parossismo: l’esistenza di club dove il comunitarismo religioso è apertamente rivendicato”, ha aggiunto Chapitaux.

 

Dal calcio alla boxe, passando per il karate e la lotta libera, nessun sport in Francia è stato risparmiato dalla diffusione del virus jihadista, a causa dell’assenza di controlli capillari da parte delle autorità, ma anche per le troppe rivendicazioni religiose tollerate per paura di ritorsioni o di essere bollati come islamofobi. Secondo l’ex gendarme, la Francia si è baloccata a lungo nel buonismo “black-blanc-beur” successivo ai Mondiali di calcio del 1998, quelli vinti in casa, dimenticando che nelle sue periferie multietniche migliaia di ragazzi venivano indottrinati al jihadismo da istruttori-reclutatori. Sono questi cattivi maestri a essere stati “sottovalutati”, come aveva riconosciuto lo stesso ministro dello Sport Patrick Kanner. I “grands frères”, che dovevano accompagnare la République nel ruolo di educatori, hanno invece girato le spalle ai valori repubblicani, fomentando una controsocietà che sembra ormai fuori controllo. “È particolarmente difficili identificarli. I responsabili delle formazioni per diventare istruttori non hanno alcun strumento giuridico per escludere dai corsi questo genere di persone. Le quali possono rapidamente essere abilitate all’insegnamento. Il pericolo è immenso perché l’educatore sportivo ha un’influenza sul corpo e sullo spirito”, ha spiegato Chapitaux.

 

Il dato più inquietante, di cui non si è praticamente mai parlato in questi anni di lotta al terrorismo islamico, è che gli attentatori che hanno colpito la Francia dal 2012 a oggi sono tutti passati per un club sportivo. Mohammed Merah, lo stragista di Tolosa, e i fratelli Kouachi, autori del massacro di Charlie Hebdo, giocavano tutti a calcio in dei club di provincia, dove hanno incrociato individui “schedati S” per radicalizzazione, che li hanno trascinati nel girone infernale del jihad; Amédy Coulibaly praticava la boxe thailandese prima di compiere una mattanza nel supermercato kosher Hyper Cacher di Parigi e Yassine Salhi era un fanatico degli sport di combattimento a Besançon, nell’est francese, prima di decapitare il suo datore di lavoro, l’imprenditore Hervé Cornara. Perché più ancora del calcio, terreno dove l’intelligence ha aumentato i controlli negli ultimi tempi, sono le arti marziali e gli sport di lotta a essere considerati i più efficaci per prepararsi al jihad. “Molti giovani, in situazioni familiari fragili, trovano una seconda famiglia nei club”, ha testimoniato il responsabile di un club di arti marziali all’Afp, prima di aggiungere: “Ho visto nella mia sala delle persone che tentavano di ‘reclutare’ questo genere di profili. Ho cercato di proteggerli, ma ne ho visti alcuni che si allontanavano sempre di più, che imploravano Allah ogni minuto e alla fine si rifiutavano di combattere con gli altri musulmani”. Secondo gli ultimi dati dell’intelligence di Parigi, sono quasi mille le segnalazioni per radicalizzazione all’interno dei club sportivi. Un’altra piaga francese che necessita di risposte immediate.

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