Kalidou Koulibaly (foto LaPresse)

Così Koulibaly ha salvato la Serie A da un finale già scritto

Leo Lombardi

Il difensore, con un gol a tempo scaduto, ieri ha permesso al Napoli di battere la Juventus e di riaprire il campionato

Centottanta minuti per rendere la serie A l'unico torneo ancora degno di essere seguito. Se il Manchester City ha già vinto in Inghilterra, se il Bayern ha fatto altrettanto in Germania, se il Paris Saint Germain giocava da solo in Francia, se il Barcellona ha da tempo messo le mani sul titolo in Spagna, da noi è diverso. Demerito della Juventus, che nel turno infrasettimanale si è buttata via con il pareggio di Crotone. Merito del Napoli, che domenica sera ha fatto quanto non era stato in grado di offrire dal 2009: andare a Torino e battere i bianconeri in casa loro. Campionato riaperto, con la squadra di Massimiliano Allegri ancora avanti di un punto ma scopertasi vulnerabile. Soprattutto con la prospettiva di due trasferte che non lasciano tranquilli, con l'Inter e con la Roma.

 

Un'impresa, quella del Napoli, costruita con intelligenza, impedendo alla controparte anche soltanto di ragionare palla al piede. E portata a termine con un cinismo sconosciuto alla squadra di Maurizio Sarri, troppo spesso brava a non concretizzare quanto costruito là davanti. Contro la Juventus non è stato così, ma l'unica opportunità è stata sfruttata nel momento in cui anche ai più grandi diventa pressoché impossibile replicare, con la capocciata inesorabile di Kalidou Koulibaly su angolo di Callejon al 90'. Un momento in cui i bianconeri cominciano a conoscere troppe amarezze, ricordando l'eliminazione dalla Champions con il Real Madrid. Ma se al Bernabeu c'era stato l'alibi del rigore farlocco decretato dall'inglese Michael Oliver (quello della spazzatura al posto del cuore, secondo il verbo di Gigi Buffon), allo Stadium i bianconeri hanno fatto tutto loro: mai in grado di giocare alla pari con il Napoli e incapaci di trovare contromisure alla fisicità di Koulibaly in area nel momento decisivo.

 

Eppure avrebbero dovuto essere consapevoli di quanto sarebbe potuto accadere. Per il difensore senegalese quest'anno l'appuntamento con il gol è diventata una piacevole abitudine, e sempre su palla inattiva. Se c'è un angolo o una punizione, lui sale in area avversaria, per sfruttare i tanti centimetri e i tanti chili. Tap-in vincente con la Lazio, mischia risolta con il Cagliari, inzuccata con il Verona. Poi, a Torino, aveva già colpito su angolo, come ben ricordano i giocatori granata: ancora una parabole di Callejon, ancora una deviazione vincente in acrobazia, con la variante del tocco precedente di un compagno. Ora la Juve piange per non aver studiato abbastanza, mentre il Napoli si tiene stretto il suo gigante, diventato insostituibile dopo le titubanze iniziali. Koulibaly arriva a 23 anni nell'estate del 2014 dal Genk, con sei mesi di ritardo. Rafa Benitez, allora tecnico degli azzurri, lo avrebbe voluto già a gennaio. Ne era talmente convinto da telefonare di persona tre volte al giocatore, ricevendo in cambio l'interruzione della linea: Koulibaly pensava allo scherzo di un amico. I belgi avevano puntato i piedi, per cedere successivamente di fronte a un versamento di 8 milioni.

 

La stima di Benitez non gli assicura il posto fisso, però. Spesso il senegalese si vede preferito Britos, per colpa di un calcio italiano diverso e più competitivo. Ma Koulibaly manda a memoria gli insegnamenti del tecnico spagnolo, che tanta mano ha nel Napoli attuale, e quando arriva Sarri li mette in pratica, stimolato dalla promessa del nuovo allenatore: “Se fai come ti dico, diventerai un grandissimo”. E oggi il senegalese lo è, mettendo fine alla vulgata calcistica che reputa i difensori africani dei fenomeni dal punto di vista atletico e, al tempo stesso, dei disastri a livello tattico. Koulibaly non solo è uno dei giocatori che Sarri non toglie mai, non solo ha trovato un affiatamento straordinario con Albiol, ma è uno degli elementi con il rendimento più alto nel nostro campionato. Rare le sbavature, tanti gli avversari dominati e in più la capacità di mettere paura nelle aree altrui. Amante della matematica, avrebbe voluto diventare bancario, esattamente il mestiere che faceva Sarri in Toscana prima di puntare con decisione al professionismo. Se i conti si fanno sempre alla fine, il Napoli è in ottime mani.

Di più su questi argomenti: