La rivoluzione alpina di Vincenzo Nibali: meno 1 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Lo Squalo dopo le Dolomiti lo avevano dato per finito. Poi al Giro d'Italia del 2016 si presentò il Colle dell'Agnello e nulla fu più come prima

C’era un bianco generico il 27 maggio 2016 verso la cima del Colle dell’Agnello, di neve a bordo strada, di nebbia in cielo. C’era un uomo davanti a tutti, Michele Scarponi, primo sulla Cima Coppi, intenzionato ad andare al traguardo il più in solitaria possibile. C’era un manipolo di inseguitori, avanguardisti di giornata. C’era un dominatore assoluto e per molti insuperabile, Steven Kruijswijk, un piccoletto con la faccia simpatica e la leggerezza in salita, Esteban Chaves, un uomo deluso, che sui monti aveva trovato sino ad allora solo delusioni e ritardi, Vincenzo Nibali. C’era uno spagnolo intramontabile più staccato, che inseguiva e che piuttosto di perdere il podio si sarebbe tagliato un dito.

 

C’era tutto questo quando il Colle dell’Agnello da salita divenne discesa. Poi iniziò la rivoluzione.

Vincenzo Nibali l’avevano dato per finito sino a pochi chilometri dal termine della Cima Coppi. Sulle Dolomiti non era riuscito a rimanere con i migliori, nella cronoscalata all’Alpe di Siusi aveva perso minuti, anche a causa di un cambio che si era rotto, verso Andalo aveva provato l’attacco e poi si era dovuto accontentare di inseguire ancora. Il distacco dalla Maglia Rosa segnava quattro minuti e quarantatré secondi, quello dal terzo gradino del podio un minuto e venti secondi. Nelle gambe il peso di oltre tremila chilometri percorsi, nella testa quello di un Giro che non stava andando come doveva andare e di un addio a uno dei suoi ragazzi della squadra giovanile impossibile da accettare: investito e speronato da una macchina mentre si allenava.


Vincenzo Nibali con Steven Kruijswijk ed Esteban Chaves sul Colle dell'Agnello (foto LaPresse)


Vincenzo Nibali l’avevano dato per finito, ma decise che finito non lo era, che mancavano ancora troppi chilometri alpini per potersi prendere il lusso di alzare bandiera bianca. Così ai due chilometri della vetta più alta di quell’edizione si portò in testa, provò qualche scatto, disperse il gruppetto dei migliori e restrinse la lotta a tre. Con lui Esteban Chaves e Steven Kruijswijk. Lo Squalo era testa di quel gruppo, alle sue spalle due eccezionali interpreti, ma con la faccia stremata. Nibali no. Aveva dentro una rabbia da far esplodere la bicicletta, una gamba che finalmente andava, la tranquillità di non aver niente da perdere. In vetta lasciò il manubrio, indossò la mantellina, iniziò a menare duro in discesa. Traiettorie veloci, infide, cattive. Divorava curve e controcurve senza confini, in un palcoscenico indefinito, dove la nebbia smussava gli orli dell’asfalto e si mescolava ai muri di neve a bordo strada. Traiettorie che Steven Kruijswijk non vide. Si allargò, frenò in ritardo, rotolò sui cumuli a bordo strada. Un volo di trecentosessanta gradi, giro completo. Botte al corpo e al morale, mentre Nibali e Chaves continuavano la loro discesa.

 

La rivoluzione era compiuta, il re spodestato, ora serviva instaurare il nuovo regime.

 

L’ammiraglia dell’Astana avvisò Michele Scarponi dell’accaduto e il marchigiano iniziò a rallentare, quasi si fermò, poi fece da apripista a Nibali, lo incitò, poi lo lanciò verso la stazione sciistica di Risoul. Quella dello Squalo fu una danza, un compendio di stile in bicicletta e determinazione ciclistica. Fu vittoria, fu distacco, cinquantatré secondi su Chaves, oltre due su Valverde, quasi cinque su Kruijswijk, fu secondo posto raggiunto, possibilità di salire ancora.

Perché l’indomani di ascesa ce ne era molta, Col de Vars, Col de la Bonnette, Colle della Lombarda, prima della rampa verso Sant’Anna di Vinadio. C’erano sessantaquattro chilometri all’insù, quattro volte oltre i duemila metri, faticaccia cane. La Lombarda fu rampa di lancio, un allungo infinito per eliminare gli indesiderati, primo tra tutti la nuova Maglia Rosa, Esteban Chaves. Michele Scarponi è nuovamente apripista, trattore, screma il gruppo, semina gli avversari, poi lascia a Nibali la scena. Il messinese alza la velocità, lo fa costantemente, senza strappi, ma è ritmo infernale, insopportabile. A tredici chilometri dall’arrivo il colombiano perse qualche metro, una distanza che si allargò, che diventò minuti, che fu un addio al primato.

 

La rivoluzione era compiuta, Nibali a Sant’Anna di Vinadio vestì la Maglia Rosa. L’impossibile si era compiuto, l’eccezionale diventato realtà.

Vincitore: Vincenzo Nibali in 86 ore 32 minuti 49 secondi;

secondo classificato: Esteban Chaves a 52 secondi; terzo classificato: Alejandro Valverde a 1 minuto 17 secondi;

chilometri percorsi: 3.463.