Diego Ulissi primo sul traguardo di Praia a Mare

Numero di Ulissi al Giro, Dumoulin in rosa. Novità: salta la Tirreno per la Zambesi Cup

Giovanni Battistuzzi

La corsa torna in Italia dopo i tre giorni olandesi: da Catanzaro a Praia a Mare, 200 chilometri di spettacolo e inseguimenti. Il toscano della Lampre con un attacco sull'ultimo strappo di Fortino stacca tutti e vince in solitaria. L'olandese riconquista il primato. Abecedario: D come duelli, D come delta del fiume.

4a tappa, Catanzaro-Praia a Mare, 200 chilometri – Il finale è vortice, un muro di quasi due chilometri a dieci chilometri dall'arrivo, poi planata verso Praia a Mare. Diego Ulissi lo cavalca, si invola, vince. Primo al traguardo, solo, quinto successo al Giro in carriera. L'atleta della Lampre esce dal gruppo quando mancano circa 20 chilometri, sfrutta il lavoro del suo compagno Valerio Conti, poi scatta sul tratto più duro dello strappo di Fortino, rimane solo, raggiunge lo striscione d'arrivo.

 


Il percorso della quarta tappa


 

Il finale è frenetico, un continuo inseguimento. Davanti in otto, poi in quattro, poi Ulissi. Dietro il gruppo, o quello che è rimasto dopo che caldo e salite hanno fatto saltare la maggior parte dei velocisti. L'avvicinamento è complicato, disperato, inutile. Prima la Bardiani per Colbrelli, poi l'Etixx per non si sa chi, infine Tom Dumoulin per avvisare tutti che per la classifica generale c'è anche lui e per riprendersi la maglia rosa: missione portata a termine in entrambi i casi. Kittel, che di rosa era vestito al via, si stacca, perde minuti, raggiunge il traguardo tranquillo.

 

Il Giro d'Italia ritorna in Italia ed ecco lo spettacolo. Merito di un percorso complicato da interpretare, salite e discese a ripetizione, assenza di pianura. Merito dei corridori che hanno lasciato il torpore olandese per cercare l'attacco, l'affondo la vittoria.

 

Arrivo: 1. Ulissi; 2. Dumoulin a 5"; 3. Kruijswijk; 4. Valverde a 6"; 5. Brambilla; 6. Nibali; 7. Zakarin; 8. Busato; 9. Chaves; 10. Roche

 

Classifica generale: 1. Dumoulin; 2. Jungels a 20"; 3. Ulissi; 4. Kruijswijk a 24"; 5. Preidler; 6. Nibali a 26"; 7. Valverde a 31"; 8. Fuglsang a 35"; 9. Roche a 37"; 10. Chaves

 


Abecedario fisso – L'altro Giro d'Italia di Maurizio Milani

 

D come DELTA DEL FIUME – Cioè finalmente che qualcuno organizzi la prima edizione della Zambesi Cup, gara ciclistica per tesserati che fa tutto l'argine dello Zambesi (2.750 chilometri). Come periodo potrebbe sostituire la Tirreno-Adriatico che viene abolita per legge. I corridori che non partecipano alla Zambesi-Mombasa-Zambesi non verranno iscritti alla Nizza-Parigi, che verrà corsa al contrario, e che dispiace dirlo rimane la corsa più importante al mondo.

 



 
D come DUELLO – Uno contro uno, testa a testa, ruota a ruota. Non c'è campione che non abbia avuto una controparte, non c'è vittoria grandiosa senza una grande sconfitta. Ogni successo di un corridore che ha fatto epoca ha il contraltare nel volto affaticato e svuotato del suo avversario. Anzi è proprio la differenza tra braccia alzate e testa china, che dà esaltazione al vincitore e redenzione allo sconfitto. Le imprese di Eddy Merckx senza la classe di Felice Gimondi, quella di Francesco Moser senza la disperazione di Laurent Fignon, quella di Marco Pantani senza gli occhi persi di Pavel Tonkov e Jan Ullrich non sarebbero state altrettanto indimenticabili. E' la disperazione dei piazzati a glorificare l'epopea dei vincitori. 

 

In principio furono Giovanni Cuniolo e Giovanni Gerbi, Manina e il Diavolo rosso; il primo bello ed elegante, rispettoso e signore, il secondo sgraziato e furbo, scorretto e furia. Albori di uno sport, pionieri nelle cui avventure il mito si mescola alla storia, tanto che I confini si confondono, si accavallano, diventano indivisibili. Poi Girardengo-Binda, Binda-Guerra, a seguire quello più entusiasmante di tutti, quello divenuto sinonimo stesso di duello: Bartali contro Coppi. I due divisero l’Italia, divennero capolista di fazioni opposte. Fu lotta a pedali, tra loro, fu però anche competizione non solo sportiva, spesso ideologica, certamente politica, per molti. Bartali era l’Italia contadina e devota, Coppi il progresso e il socialismo. E poco importa se tra loro le divisioni ideologiche fossero poco differenti, contava il simbolo, il sentore comune. Dopo di loro fu ricerca di qualcos’altro del genere: Gimondi-Motta, prima, Saronni-Moser, soprattutto, Bugno-Chiappucci, infine. Ogni sfida al Giro diventava dicotomia, o almeno provava a esserlo. Si cercavano gli sfidanti, si aspettava lo scontro. Nel 1998 la sublimazione. Terzultima tappa, arrivo in salita a Plan di Montecampione. Marco Pantani in maglia rosa, dietro di lui Pavel Tonkov, lo sfidante, dietro di lui di poche decine di secondi nella classifica generale e favorito per la cronometro dell’indomani. Il Pirata sa che deve staccarlo, che deve guadagnare secondi per evitare di farsi sorpassare nella frazione contro il tempo. A oltre dieci chilometri dall’arrivo sono soli. Pantani è uno scatto continuo, rilancia l’azione. Il russo non molla di un metro. Guarda in avanti, impassibile. Il Pirata prova ancora, ma Tonkov ribatte accelerazione dopo accelerazione. Sino al momento che abbassa il capo, perde due, cinque, cinquanta metri. Pantani si gira, lo vede pesante, si invola. In cima arriverà solo. Blinda il Giro. (gb)

 

 

Di più su questi argomenti: