Johan Cruijff

E' morto Johan Cruijff, il 14 che rottamò il calcio

Giovanni Battistuzzi
Addio al campione olandese che rese grandi Ajax e Barcellona. Non è stato solo un attaccante. Attaccava. Ma come e da dove voleva, segnava, giocava per sé e per i compagni allo stesso modo, "divino e imprescindibile", come scrisse Bruno Raschi.

Quando nel giugno del 1978 il numero 14 del Barcellona annunciò l'addio al calcio, Franz Beckenbauer, capitano della Germania, del Bayern Monaco (per una dozzina di anni) e uno dei difensori più forti della storia del calcio, alla televisione tedesca parlò di fine di un'epoca: "Una perdita enorme, oggi questo sport vale meno di ieri, senza di lui è meno bello, molto meno appassionante". Quel lui era Johann Cruijff, morto oggi, 38 anni dopo quel primo addio.

 



 

Johan Cruijff e Kaiser Franz non avevano mai giocato assieme, erano diversi, si sopportavano poco. Il primo ribelle, estroso, poco incline a scendere a patti; il secondo coriaceo, preciso, quadrato per mentalità e rispetto di apparenze e impegni. Il primo uomo d'attacco. Perché Cruijff un ruolo preciso non lo ha mai avuto. Attaccava, ma come e da dove voleva, segnava, giocava per sé e per i compagni allo stesso modo, "divino e imprescindibile", come scrisse Bruno Raschi. Il secondo uomo di difesa. Perché anche lui giocava a suo modo, davanti alla linea o come ultimo uomo, ovunque ci fosse da iniziare l'azione. "Ritirarsi a 31 anni? Uno come lui? Impossibile, non ci voglio credere", continuò Beckenbauer. Lo chiamò, lo convinse a continuare, gli offrì un posto ai New York Cosmos, dove giocava. Lui prima non volle sentire ragioni, poi accettò, salvo poi cambiare idea e accasarsi ai Los Angeles Aztecs: 3 miliardi e mezzo di lire più percentuali sugli incassi. "Ogni sforzo economico è minimo per uno come lui", disse il presidente della squadra americana, "stiamo parlando di Cruijff, del miglior giocatore che il calcio abbia mai visto".

 

 

Difficile dire se Cruijff sia stato davvero "il miglior giocatore che il calcio abbia mai visto", sicuramente è uno di quei calciatori indimenticabili, che hanno con la loro presenza reso onore a questo sport. Cruijff ha reso diverso il calcio. Con il suo Ajax, quello della seconda metà degli anni Sessanta, con la sua Olanda, quella a cavallo tra la fine dei Sessanta e la metà dei Settanta, ne ha cambiato paradigmi e attitudini, ne ha rottamato gioco e immagine. Lui, con il suo 14, con il suo correre ovunque per il campo, con la classe che gli permetteva di fare qualsiasi cosa con il pallone, ha fatto il resto.

 

Rottamò il modo di giocare, usi e costumi all'interno del rettangolo di gioco e al di fuori di questo. Venne amato ad Amsterdam, idolatrato a Barcellona, vinse tutto, ad eccezione del Mondiale, che gli sfuggì, come a sfuggì a tutta quella generazione di giocatori che scrissero la pagina più bella del calcio olandese.

 

 

E' stato virtù balistica e vizio. E' stato immagine di una rivoluzione di costumi e culturali, quella per cui "si poteva essere atleti, fumare e portarsi le ragazze in ritiro con la squadra", avendo il gusto di non sentirsi mai modello. Era capopopolo, ma a modo suo. My way, come rispose a un cronista inglese durante gli Europei del 1976.

 

My way come quando dal campo passò alla panchina e vinse anche lì, prendendosi il lusso di rivoluzionare il concetto di calcio totale olandese per applicarlo al mutato scenario calcistico degli anni Ottanta. Vinse in Olanda, con il suo Ajax, vinse in Spagna, con il suo Barcellona, alzò la Coppa dei Campioni e con la spocchia ironica del migliore sorrise e si permise di dire: "Certo con me in campo sarebbe stato diverso". Nessuno lo contraddisse, nessuno avrebbe potuto dire il contrario.

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