Perché il sogno del FC United of Manchester inizia a traballare

Francesco Caremani

La squadra fondata nel 2005 da alcune migliaia di tifosi del Manchester United contrari all'ingresso in società del nuovo presidente Malcom Glazer, è arrivata alle porte del professionismo, ma proprio ora il suo modello di azionariato popolare rischia di non poter essere sostenibile. Per crescere servono investimenti e per realizzarli non bastano le ragioni del tifo.

Se dieci anni vi sembrano pochi per fare la storia. La storia è quella dell’FC United of Manchester, fondato il 19 maggio 2005, sette giorni dopo che il Manchester United era stato acquistato da Malcolm Glazer, attraverso un debito ricaricato poi sul club, tramite la holding First Allied Corporation che controlla anche i Tampa Bay Buccaneers (NFL) e che ha numerose partecipazioni nell’industria alimentare, finanza, petrolio e gas naturale. Fu quella la goccia che per alcune migliaia di tifosi dei Red Devils fece traboccare il vaso spingendoli ad abbandonare la squadra del cuore per fondarne un’altra e tornare alle origini, del calcio e del tifo. Secondo Supporters Direct, l’organizzazione europea di riferimento dei trust sportivi, i fermenti della ribellione attecchirono nel 1992 con la creazione della Premier League, perché nonostante i successi del Manchester United si iniziava a percepire la discrasia che si stava creando tra il club e la comunità di riferimento. Un altro momento formativo è stato la rivolta, nel 1998, contro l’entrata in società del media tycoon Rupert Murdoch, obiettivo raggiunto dalla Shareholders Unite Against Murdoch, successivamente rinominata MUST, Manchester United Supporters Trust, associazione nata in segno di protesta contro l’ordine di stare tutti a sedere durante una partita con l’Arsenal.

 

Alla fine il cinque per cento degli abbonati dei Red Devils contribuì a fondare i Red Rebels, come si fanno chiamare quelli dell’FC United of Manchester, stanchi di vedere aumentare del 50 per cento i prezzi dei biglietti e il marchio del club impresso su orologi, vino, compagnie aeree, per pubblicizzarsi in tutto il mondo. Al grido “making friends not millionaires” in 5.000 aderirono al trust pagando un canone annuo di 12 sterline. Alla prima selezione si presentarono 900 calciatori, passarono la prova in 200 e alla fine formarono una rosa di 17 giocatori. Da allora hanno conquistato quattro promozioni raggiungendo la National League North, a due campionati dalla League Two, l’incipit del professionismo inglese. Jerome Wright il più presente, con oltre 280 partite giocate, il nordirlandese Rory Patterson il bomber di sempre con un centinaio di reti all’attivo, insieme a Matthew Walwyn, di St Kitts and Nevis, gli unici due non inglesi della rosa, mentre in panchina siede il mancuniano Karl Marginson, con un passato come centrocampista nelle serie inferiori. Il bilancio del club è trasparente, zero debiti e circa 100.000 sterline in banca. Il 29 maggio di quest’anno è stato inaugurato il Broadhurst Park (già Moston Community Stadium), impianto di proprietà da 4.400 posti, di più se i tifosi stanno in piedi, con un’amichevole contro il Benfica, vinta dai portoghesi 1-0, in ricordo della finale di Wembley del ’68 che regalò al Manchester United la sua prima Coppa dei Campioni.

 

Lo stadio, costato 6,5 milioni di sterline raccolte attraverso il Development Fund, è stato costruito a Moston, nord di Manchester, non prima di aver vinto il contenzioso con alcuni abitanti della zona che erano contrari al progetto, che non comprende solo lo stadio ma anche impiantistica sportiva e verde per la comunità: c’è sempre qualcuno più puro che ti epura, o almeno ci prova.

 

Il sogno non dichiarato ma realistico è quello di raggiungere la League Two con un seguito di 10-12.000 spettatori rimanendo fedeli ai propri principi. Anche sociali, come il supporto a Mission Christmas per far sì che nella Greater Manchester tutti i bambini delle famiglie appartenenti ai ceti popolari ricevano almeno un gioco per Natale.

 

Un sogno seguito però con la consapevolezza che, ai massimi livelli, molti campionati si reggono solamente sui diritti televisivi e che il modello finanziario che ha retto sino a ora, potrebbe crollare nel momento in cui i tifosi sparsi per il mondo iniziassero a seguire le squadre locali, e le future generazioni della working class non potranno permettersi gli abbonamenti dei sei top club della Premier League. Un dato. Nel 1980 l’età media della Stretford End, la curva dei tifosi dello United all’Old Trafford, era di 19 anni, oggi di 44; Calcio&Finanza scrive che nel 2014-15 i ricavi da stadio delle squadre del massimo campionato inglese hanno avuto una flessione del 6 per cento. Per queste e altre ragioni l’azionariato popolare resterebbe l’unica via per continuare a respirare football e non business.

 

[**Video_box_2**]Intanto, però, qualcosa è iniziato a scricchiolare nel paradiso del supporters trust mancuniano. Per l’inaugurazione del Broadhurst Park è stato stampato il programma della partita, come si usa in Inghilterra: inizialmente era stato deciso di venderlo a 2 sterline, diventate poi 2,50 (+25 per cento) senza consultare i membri del trust, che si sono lamentati per il prezzo e per il modo. Ad ottobre, Damian Hinds, segretario di Stato al tesoro incaricato dello Scacchiere del governo Cameron, responsabile tra le altre cose delle politiche sociali, ha visitato lo stadio nuovo, apprezzando il successo della società nella raccolta fondi (coinvolgimento della comunità e capacità di ottenere sgravi fiscali grazie all’impegno sociale), con tanto di foto insieme con i rappresentanti del board, twittata dall’account ufficiale dell’FC United of Manchester. Peccato che nessuno dei tesserati sapesse della visita che è apparsa come un endorsement, aumentando esponenzialmente l’imbarazzo generale poiché distante solo pochi giorni dall’enorme corteo anti austerity che si era svolto proprio a Manchester. Il 9 novembre scorso l’FC United of Manchester ha perso in casa per 4-1 la partita di FA Cup, anzi Emirates FA Cup, contro il Chesterfield FC. Ma la vera sconfitta è stata quella di giocare di lunedì con diretta televisiva (67.000 sterline di diritti): quel giorno non è fatto per il calcio ha obiettato la società, e per i tifosi lavoratori, ma il braccio di ferro ha avuto esito negativo e il club si è dovuto piegare al volere della Football Association.

 

Tre episodi isolati e scollegati che, però, fanno comprendere quanto sia difficile continuare sui binari scelti dieci anni fa, dai quali non si dovrebbe mai deragliare. Recentemente un gruppo di tesserati è tornato a seguire le sorti del Manchester United, pur continuando a professarsi contro la famiglia Glazer, insomma come quelli contrari al petrolio e allo sfruttamento di altre materie prime che continuano a utilizzare i telefonini. Oltretutto la stagione attuale vede la squadra negli ultimi posti della classifica, rischiando così di rimangiarsi la promozione ottenuta appena qualche mese fa. Per vincere, pure nelle categorie inferiori, non sempre basta fare buon calcio, ci vuole anche qualche investimento. Sono molti, infatti, gli osservatori che si chiedono quanto resisterà l’FC United of Manchester prima di rompere l’attuale struttura salariale e ingaggiare giocatori capaci d’innescare il salto di qualità. In Europa e in Italia l’azionariato popolare si è diffuso a macchia di leopardo, con esempi più o meno virtuosi, seppur tutti dettati dall’idea regina: “il cuore del gioco”. Più football e meno business o più business e meno football? Questo è il dilemma, dei calciofili romantici, nell’era della Champions League e dei diritti televisivi della Premier League venduti a peso d’oro.

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