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Più Europa, più concorrenza: un'agenda per il mercato bancario. Il caso Revolut
Altro che extraprofitti e prelievi straordinari, il governo dovrebbe pensare a una maggiore liberalizzazione del settore banche, rimuovendo le barriere che oggi rallentano l’ingresso di nuovi istituti sul mercato. I benefici della concorrenza, spiegati con la fintech inglese, che ha raggiunto in Italia 4 milioni di clienti
Per il terzo anno di fila, il governo italiano chiederà un prelievo straordinario alle banche per finanziare la manovra di bilancio. E per il terzo anno di fila ha giustificato la scelta con i notevoli utili registrati dal settore: circa 120 miliardi di euro in un triennio. Un guadagno di tutto rispetto, che il governo italiano ritiene frutto dell’eccezionale rialzo dei tassi di interesse della Bce tanto da aver coniato il termine “extraprofitti”.
Le banche italiane hanno infatti scaricato sui clienti i tassi più elevati, tramite mutui e finanziamenti, ma non hanno ripagato con la stessa solerzia chi prestava loro denaro, come i correntisti. Un’asimmetria che evidentemente il governo ritiene dannosa e sproporzionata, ma che – dopo tre anni a disposizione – l’esecutivo avrebbe dovuto correggere fin dalle premesse, piuttosto che tentare di appianarla nei suoi effetti. In altre parole, rilanciare la concorrenza del settore piuttosto che tassare gli utili (con meccanismi distorsivi e raramente efficaci, come dimostrano i risultati). Lo stesso pensiero è stato espresso dal professor Giavazzi su questo giornale.
Invece la liberalizzazione è sempre rimasta fuori dai radar dell’esecutivo. Anche di fronte alle scalate bancarie recenti, il governo ha concentrato la propria attenzione sui Btp detenuti dagli istituti di credito piuttosto che sugli interessi dei risparmiatori. Né la maggioranza è intervenuta sul settore nelle leggi annuali sulla concorrenza. Eppure, se i rendimenti offerti dalle banche italiane sui conti correnti oggi sono quasi la metà di quelli messi a disposizione in media nell’Eurozona, qualche sospetto sullo stato della concorrenza nel mercato nazionale affiora. Per di più se consideriamo che l’Italia dovrebbe presentare tassi strutturalmente superiori al resto dell’Eurozona dati i più alti rendimenti dei propri titoli di stato.
Eppure una scossa al settore bancario italiano è arrivata, benché non dal governo. Basta osservare la classifica degli istituti per numero di clienti per accorgersene: Intesa Sanpaolo, Unicredit, Crédit Agricole, Bper e… Revolut. La fintech inglese ha annunciato di aver raggiunto in Italia 4 milioni di clienti, e cresce al ritmo di uno ogni quindici secondi. La banca è apprezzata per offrire un conto gratuito su cui attualmente viene accreditato un rendimento lordo dell’1,5 per cento, quasi dieci volte la media nazionale. Ma entrare nei mercati domestici europei non è affare semplice: oggi Revolut è presente in tutti e 27 gli stati europei, e deve dunque interfacciarsi con 27 regolatori nazionali differenti.
Per quanto considerata ormai banca sistematica, le interlocuzioni con le banche centrali nazionali infatti continuano: “Entrare in un mercato nazionale con una succursale dedicata” racconta al Foglio Nicola Vicino, general manager di Revolut per l’Italia “significa dotarsi di un team di persone che conosce le specificità del paese. Noi qui abbiamo 40-50 addetti, che sono referenti per la compliance, l’antiriciclaggio, il legal e la normativa fiscale”. Per quanto possibile la fintech accentra le operazioni, in modo da rendere compatibili i costi con le ridotte commissioni, ma non sempre le singole normative nazionali lo permettono. “Ogni paese ha per esempio i propri regolamenti fiscali” continua Vicino “le legislazioni sono molto articolate e non si parlano tra uno stato e l’altro. Questo aggiunge costi e tempi di ingresso nei mercati, e non può che sfavorire i nuovi player che vogliono espandersi a vantaggio di chi è già presente”.
A ridurre la frammentazione ci dovrebbe pensare l’unione bancaria europea, che in effetti stabilisce regole comuni per gli istituti. Ma i regolatori rimangono nazionali, come anche i trattamenti fiscali su risparmi e investimenti. A saperlo bene è Scalable Capital, scale-up tedesca con oltre un milione di clienti in Europa che ha appena aperto l’ufficio in Italia offrendo il 3,5 per cento lordo sui risparmi: “Stiamo aprendo la succursale in Italia, un passo che richiederà circa cinque mesi di tempo e un importante investimento” dice al Foglio Michele Raisoni, Senior Business Development Manager che ha curato l’ingresso nel mercato italiano. Le differenze tra stato e stato sono molte: “I princìpi anti riciclaggio sono comuni, ma in Italia gli oneri sono più pressanti” per via della storica presenza della criminalità organizzata. “Qui dobbiamo porre 5-6 domande in più ai potenziali clienti nel processo di registrazione”. Ogni autorità fiscale nazionale inoltre utilizza pratiche e software diversi per il pagamento delle imposte su azioni, obbligazioni e fondi. Come sono differenti anche i processi che portano a pignoramenti, eredità e reclami. “Siamo ancora lontani dall’avere un mercato unico” chiosa Raisoni. “L’unione bancaria non si è mai realizzata appieno” ci dice anche Luca Carabetta, a capo di Trade Republic in Italia, altra fintech tedesca da 10 milioni di clienti e che può vantare di aver girato ai clienti 2,5 miliardi di euro depositati presso la Bce. “Il Rapporto Draghi ha sottolineato l’importanza della realizzazione dell’Unione dei Risparmi e degli Investimenti. Le differenze culturali e normative per molti operatori sono ostacoli insormontabili”.
Sono queste le barriere che oggi rallentano l’ingresso, anche in Italia, di nuove banche che stimolino la concorrenza. Negli Stati Uniti il broker Robinhood ha più del doppio dei clienti di Trade Republic e Scalable messi assieme, e con un’unica licenza bancaria ha accesso all’intero mercato statunitense. Se si vogliono tagliare i cosiddetti “extraprofitti”, come in effetti gli economisti definiscono gli utili di aziende che non operano in concorrenza perfetta, la priorità è fare l’unione bancaria, una volta per tutte.