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Perché sui fondi europei per il riarmo l'Italia rischia di perdere un'occasione
A poche ore dalla scadenza per aderire al piano Safe da 150 miliardi, Roma non ha ancora deciso. I fondi europei costerebbero meno dei Btp e spingerebbero l’industria nazionale, ma il governo è diviso. Già 20 paesi hanno presentato la loro richiesta
La riluttanza del governo italiano ad aumentare la spesa per la difesa potrebbe costare cara. La maggioranza è spaccata sul riarmo europeo: non solo sull’entità delle risorse da impiegare, ma anche su dove trovarle. Dopo non aver richiesto la deroga al Patto di Stabilità per spese militari - chiesta a gran voce negli anni scorsi dal ministro Crosetto, prima che venisse proposta dalla Commissione Ue - ora il governo deve decidere se aderire ai prestiti europei per la difesa. Si chiamano “Safe” (Security Action for Europe): 150 miliardi di euro che gli stati membri possono richiedere per finanziare lo sviluppo e la produzione – in modo congiunto – di sistemi di difesa. I fondi sono offerti a condizioni più vantaggiose, perché presi a prestito dalla Commissione europea (che è considerata dai mercati finanziari più affidabile di alcuni paesi), sul modello del programma “Sure” varato durante la pandemia. I fondi finanzieranno gli armamenti su cui l’Europa è più in ritardo, tra cui sistemi di difesa aerea, droni, cybersicurezza, difesa spaziale e velivoli per il trasporto pesante e il rifornimento in volo. Queste piattaforme, da maggio 2026 in poi, dovranno essere acquistate da un minimo di due stati membri, così da favorire l’interoperabilità dei sistemi di difesa nazionali.
Il governo ha poche ore per decidere: entro domani gli stati dovranno far pervenire il proprio interesse a Bruxelles e comunicare l’ammontare che intendono chiedere a prestito (ed entro novembre presentare i progetti definitivi). Il Commissario europeo allo spazio e la difesa Andrius Kubilius ha affermato che già 20 capitali hanno richiesto i fondi, per un totale di circa 100 miliardi di euro. La Commissione europea, contattata, non ha voluto anticipare la lista degli stati richiedenti. Secondo anticipazioni di stampa tra gli interessati ci sarebbero Belgio, Bulgaria, Cipro, Repubblica ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Lituania, Polonia, Romania e altri 10 paesi. L’Italia, per ora, è assente dalla lista: fonti del ministero dell’Economia sostengono che oggi l’orientamento sia un’adesione di principio, ma che ancora una decisione non è stata formalizzata. Il governo italiano, nel corso delle trattative, aveva chiesto che oltre a prestiti potessero essere messi a disposizione anche sussidi a fondo perduto. Proposta bocciata per la contrarietà della Germania e dei Paesi Bassi.
Sarebbe paradossale se l’Italia rinunciasse ai fondi Safe. Gli eurobond emessi dalla Commissione europea costano meno dei Btp italiani: finanziare l’aumento della spesa per la difesa con i soldi europei costerebbe meno che farlo tramite il debito nazionale. La differenza su un orizzonte temporale di dieci anni è oggi di circa mezzo punto percentuale. Per ogni miliardo di euro preso a prestito, gli eurobond garantirebbero un risparmio all’Italia circa 5 milioni di euro di interessi l’anno. Pochi soldi si penserà: tuttavia, se si immagina che l’Italia possa richiedere circa 20 miliardi di euro di fondi, il risparmio non sarebbe insignificante. I fondi europei Safe offrono inoltre ulteriori vantaggi: i rimborsi sono a lungo termine, entro 45 anni, e sui progetti finanziati gli stati non pagheranno l’iva. L’Italia sarebbe il paese dell’area dell’euro che più beneficerebbe del debito comune europeo, a causa degli alti tassi di interesse che paga sul proprio debito sovrano. Non richiedere i fondi rappresenterebbe un pessimo segnale, per due motivi. Primo, una debole adesione indebolirebbe la spinta verso nuove future emissioni di debito comune europeo. Secondo, verrebbero meno i già deboli incentivi a ridurre la frammentazione industriale della difesa continentale, necessari a evitare che ogni stato sviluppi e produca autonomamente i propri sistemi d’arma, alimentando sprechi e costi. Le aziende italiane sono pronte: una delle più rilevanti nel panorama nazionale ha detto al Foglio che sarebbe in grado di consegnare i progetti “il giorno stesso” in cui l’Italia dovesse aderire a Safe. Il governo lo sarà?