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un'epoca frammentata

Che ne sarà dell'identità in un tempo ridotto a successione di istanti?

Sergio Belardinelli

Non c'è nulla di più ovvio del nesso tra tempo e identità individuale e sociale. Ma ora siamo immersi in un tempo spezzettato, privo di tradizione e indifferente al futuro, e la nostra anima rischia di ammalarsi 

E’ lecito supporre che il tema dell’identità delle persone sia in qualche modo collegato al concetto di tempo e che al variare dell’idea che abbiamo di quest’ultimo varia anche l’idea che abbiamo dell’identità? Io penso di sì, e per mostrare in che senso prendo spunto da una famosa citazione di Agostino: “Ho udito da un tale sapiente” – egli scrive – “non essere il tempo che il moto del sole, della luna e delle stelle, e non ne convenni per niente. Che, forse se si spegnessero i luminari del cielo, mentre continuasse a girare la ruota del vasaio, non ci sarebbe più il tempo da misurare quei giorni? Il tempo… è nell’anima, come attesa del futuro, come attenzione del presente, come ricordo del passato”. Il tempo dunque non è soltanto tempo cosmico, il tempo del sole, della luna e delle stelle, ma è soprattutto “tempo interiore”, tempo dell’anima. Martin Heidegger si spingerà ancora più oltre, facendo del tempo addirittura la dimensione fondamentale entro la quale si schiude l’essere nella sua interezza. L’essere è tempo: questo, in estrema sintesi, il senso complessivo del discorso heideggeriano.


A sentire i filosofi, non c’è dunque nulla di più ovvio del nesso tra tempo e identità individuale e sociale. Il tempo pervade tutto l’essere, tutto ciò che è, quindi sicuramente anche la nostra identità. Ma anche i sociologi, magari con più discrezione, qualche volta dicono la stessa cosa: “Le idee astratte, quali sono le idee di tempo e di spazio, vengono a trovarsi in ogni momento della loro storia in stretto rapporto con la corrispondente organizzazione sociale”, dicevano Durkheim e Mauss. Posta quindi questa corrispondenza tra l’idea che la società e la cultura si fanno del tempo e il tipo di organizzazione sociale volta a volta dominante, non è affatto temerario immaginare l’evoluzione sociale come passaggio dal tempo ciclico delle società primitive (si pensi al mondo greco), al tempo newtoniano della società moderna, proteso verso il futuro, al tempo frammentato e relativizzato della nostra epoca, imprigionato quasi nel presente. E proprio su questi passaggi vorrei richiamare brevemente l’attenzione.


Prendiamo come esempio il passaggio dalla “comunità” alla “società”, di cui parla Ferdinand Tönnies, oppure, che è lo stesso, il processo di individualizzazione e di differenziazione, di cui parlano Emile Durkheim, Max Weber o Niklas Luhmann. Tutti gli studenti di sociologia conoscono bene i caratteri dell’antica comunità, dove, talmente forte è la coesione sociale, che “gli individui sono uniti nonostante tutte le separazioni”; altrettanto bene si conoscono i caratteri della società moderna, dove invece la differenziazione e l’individualizzazione fanno sì che “gli individui siano separati anche quando sono uniti”. Nel primo caso l’identità individuale dipende quasi in toto dall’appartenenza sociale; ognuno è ciò che la comunità gli assegna di essere, il ruolo sociale che svolge. Nel secondo caso invece l’identità diventa sempre di più un problema di scelta; io sono ciò che voglio essere; di qui l’importanza crescente della libertà individuale, ma anche i sempre più difficili problemi di riconoscimento, che possono diventare addirittura una tragedia: la famosa tragedia del riconoscimento di cui parla la hegeliana Fenomenologia dello spirito. Quanto al tempo, se l’antica comunità predilige il tempo ciclico, l’eterno ritorno dell’uguale, il fluire sempre uguale di giorni dei mesi e delle stagioni come metafora del fluire sempre uguale della vita individuale e sociale, la moderna società predilige il tempo dell’orologio, il vero regolatore della vita delle nuove città, sempre più complesse e differenziate sia nell’organizzazione del lavoro, sia negli stili di vita. Lo potremmo anche definire il tempo newtoniano: un tempo meccanico, astronomico, continuo, infinitamente divisibile, che scorre in modo uniforme verso il futuro, ma sempre più difficile da conciliare con il tempo dell’individuo. 


L’antica comunità era riuscita in questa conciliazione adattando, possiamo anche dire, costringendo, l’individuo all’interno dell’ordine sempiterno della comunità stessa. La società moderna, in quanto società individualizzata e differenziata, non può più permettersi questa costrizione; deve quindi fare i conti con una crescente anomia, come direbbe Durkheim, la quale, in quanto discrasia tra normatività, normalità, ordine sociale, da un lato e, libertà, desideri, norme individuali, dall’altro, esprime anche il disagio di una civiltà che fatica a conciliare una vita e un tempo sociali sempre più standardizzati con la vita e il tempo degli individui (la difficile socializzazione esprime anche la difficile interiorizzazione da parte degli individui del tempo o dei tempi della società). 


E’ a questo livello, al livello delle lacerazioni della coscienza individuale moderna, che si delinea la crisi della modernità e il passaggio alla nostra epoca: da un lato, una cultura sempre più frammentata e relativista, dove sembrano sprigionarsi i più stravaganti desideri individuali e, dall’altro, un apparato scientifico-tecnologico-industriale che sembra dispiegarsi come se gli uomini non esistessero, secondo una logica puramente funzionale. Al ferreo ordine del tempo newtoniano si è poco a poco sostituito un tempo relativo divenuto una mera successione di istanti staccati da qualsiasi concreta continuità, diciamo pure un tempo privo di tradizione e indifferente di fronte al futuro, proprio come si addice a una società ipotetica, quale è quella in cui viviamo, come se ognuno di noi fosse “uno, nessuno e centomila”.


Ritornando al brano di Agostino che ho citato all’inizio, dovremmo comprendere che la nostra anima dipende proprio dalla capacità che abbiamo di armonizzare passato, presente e futuro, di vivere nel presente il futuro a cui aspiriamo sulla base del nostro passato. Guai a vivere in una soltanto di queste tre dimensioni temporali; avremmo a che fare con vere e proprie patologie dell’anima, che assumerebbero inevitabilmente anche la forma di patologie sociali.

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