Fenomenologia della Zanzara. Un caos allucinato fra tanta serietà

Come sprofondare le analisi economiche, politiche e culturali delle trasmissioni precedenti in un gorgo nero di complottisti, scambisti, camionisti, satanisti, neonazisti, populisti

Andrea Venanzoni

Un’arena di mostruosità, complottismi, personaggi borderline governata dall’alchimia funambolica tra i conduttori, Cruciani e Parenzo. Sesso e politica: un Circo Barnum radiofonico nel grembo del sancta sanctorum del capitalismo  istituzionale. Viaggio in una trasmissione di culto

Il cielo sopra il casello di Carisio ha il colore di un breve istante di felicità interrotto dalla pubblicità. Svolti verso Biella e ti ritrovi incolonnato, dopo una giornata persa in un lavoro abietto con colleghi dall’alito pesante e la prospettiva di tornare a casa. Qui ti attende una moglie oscena il cui unico concetto di trasgressione è farti svernare nei camerini dei centri commerciali mentre lei prova vestiti che non indosserà mai e la cui unica funzione è farla lamentare, con te, ogni singolo minuto, dei canoni estetici moderni. Per fortuna, pensi, c’è la radio accesa: a farti compagnia una disgraziata, disgraziatissima emissione radiofonica che tutte le sere ascolti in religioso silenzio. Lenisce il peso della coda, esorcizza il ritmo a passo d’uomo, tiene a bada gli incubi di una vita inutile: d’un tratto, però, ecco il tragico colpo di scena, non si ride più. Irrompe la serietà, l’incantesimo va in frantumi. E allora, furioso, impugni il telefonino, incurante del codice della strada e di quelli che incolonnati accanto a te ti scrutano perplessi: componi il numero, attendi in linea e pretendi una giustificazione, perché una giustificazione te la devono. 

  
“Voi ci dovete far sbellicare!”. E il conduttore, incredibilmente, dice che hai ragione. “Lo dica più forte, la prego!” invoca il conduttore. “Quando sono al casello di Carisio” dici con tono prussiano “voglio ridere, ridere”. E il conduttore, ancor più incredibilmente, ribadisce che hai ragione. 

 
Il conduttore è Giuseppe Cruciani e la trasmissione è “La Zanzara”. Siamo nel 2012, e sei entrato, a modo tuo, nella storia. Ma più che dalla porta, Francesco da Novara nella storia ci entra da un indefinito orifizio in cui autoambulanze, politica nazionale sotto forma di Berlusconi e Scilipoti, e un catacombale David Parenzo, in collegamento probabilmente con un telefono ugandese, si tengono uniti nella danza del precipizio.


La Zanzara, nomen omen, è nata solo sei anni prima, ed è diventata a modo suo un format unico, un virus trasmesso e inoculato nel corpaccione di un’Italia sonnacchiosa che Jerry Springer o Howard Stern nemmeno sa chi siano. Un’arena di mostruosità ballardiane, una cacofonia di insulti, complottismi, personaggi borderline, minacce, feet e dick rating, analisi strampalate e trasgressioni sessuali sempre più improbabili. La Zanzara, nella sua sbilenca e improbabile consistenza di Circo Barnum radiofonico, è semplicemente perfetta; quel genere di perfezione che si basa sull’intersezione geometrica e inscindibile di ogni particolare, in cui tutto, come un raffinato meccanismo a orologeria rinascimentale, deve stare al suo posto e in cui basterebbe il disallineamento di un singolo dettaglio per veder venire giù l’intero castello. Se Paul Feyerabend fosse andato a lezione da Joe Rogan, ne sarebbe potuto venir fuori qualcosa di simile. E si cita Rogan non per caso; La Zanzara è diventata anche un podcast ma in certa misura è sempre stata un podcast, quando ancora nemmeno si sapeva cosa fosse di preciso un podcast. La sua obliqua ontologia dal basso, la sua caciarona suburra d’etere, il suo caos raziocinante e organizzato la rendono un podcast perfetto anche se Cruciani spesso va fuori dai gangheri quando i meravigliosi prodigi della tecnologia si inceppano e lo vedi, ormai La Zanzara è pure video, imprecare, maledire e gesticolare come un operatore del ponte di volo di una portaerei americana bombardata dai giapponesi.

  

Quando nasce, nel 2006, la trasmissione appare sin da subito una scommessa: la cifra della sua irriverenza sta nel nome, ispirato all’omonimo giornale del liceo milanese Parini che nel 1966 si attirò sulle spalle un bel processo per oscenità e corruzione di minorenni. Ed è una scommessa anche per la sua iconografica geolocalizzazione: non trasmette mica da qualche fetido centro sociale o da uno scantinato da radio libera, quella roba da Bologna 1977, no, sarebbe troppo facile, troppo prevedibile, va in onda invece a Milano, dal sancta sanctorum del capitalismo raffinato e istituzionale italico, Radio24, quella del Sole 24 Ore e di Confindustria.

   
Ma agli inizi, pur negli ascolti premianti e nel successo, nel 2008 vince infatti la Grolla d’oro e in seguito collezionerà altri premi, La Zanzara cerca la propria identità e la propria voce, come quei cagnolini che poi man mano, crescendo, facendosi grossi, iniziano a ruggire tipo Pitbull, che come noto agli aficionados della trasmissione è uno dei cani preferiti di Cruciani che ne chiede l’eradicazione una puntata sì e l’altra pure. Anche nella conduzione, si tradisce un po’ questa palestra: pochi lo sanno, forse sono anche meno quelli che lo ricordano o a cui freghi qualcosa, ma nei primi quattro anni alla conduzione si trovano pure Corrado Formigli e Luca Telese, il quale ultimo ogni tanto, ancora oggi, riappare in collegamento. Lo scheletro portante della trasmissione vuole basarsi sulla forza del contrasto: dare sostanza allo smargiasso caos allucinato pur stando in pancia al Sole 24 Ore, e nell’offrire voce letteralmente a chiunque, facendo sprofondare le analisi economiche, politiche e culturali, sempre serissime, algide, puntualissime, che la perimetrano nelle trasmissioni precedenti, in un gorgo nero di complottisti, scambisti, camionisti, satanisti, neonazisti, populisti. La formula del successo del programma, non per caso, la fornisce uno smagliante Paolo Mieli in un mantra descrittivo acutissimo partorito, ironia del caso, sempre su Radio24 ma in altra trasmissione condotta da Simone Spetia: parlando di Vannacci e degli spettacoli teatrali di Cruciani, descrive questi come “un genio” e David Parenzo “spalla d’eccezione”. E’ proprio questo contrasto a rendere glorioso il tutto. L’apparente, compassata e a tratti disgustata serietà di Parenzo, a contatto con l’irruenta foga populista e libertina di Cruciani. Non per caso quando Parenzo arriva, nell’ormai sideralmente lontano 2010, la coppia trova subito un equilibrio perfetto, anche se, come ricorda Cruciani, Parenzo agli inizi non doveva apparire come quello “serio”. Però lo diventa, diventa quello che si scusa, piagnucolando quasi, quando interviene un personaggio famoso o culturalmente riconosciuto, “mi dispiace” geme Parenzo, oppure quando in un istante di baluginante autocoscienza vede la devastazione politico-culturale che La Zanzara produrrebbe nel tessuto del paese. Parenzo è la vittima ideale degli strali crucianiani contro le sue “marchette”, delle urla ferine contro i suoi ritardi; la meravigliosa epopea dei collegamenti casalinghi o da improbabili, improponibili località segrete, dove il buon David andrebbe a smarchettare conducendo eventi di industriali e multinazionali, Cruciani dixit, ecco, diamo sosta al buon avvocato Cinetto, sempre temuto, sempre agitato e brandito da Parenzo. Il traffico romano, quando per due giorni a settimana si trasferiscono negli studi capitolini, l’autista Kamal che scarrozza Parenzo e al quale vengono impartite sane lezioni sulla bellezza del colonialismo britannico, gli incidenti diplomatici con gli assolutamente non permalosi romani che non appena dici qualcosa su questa Calcutta col Colosseo si inalberano come ha fatto il comico Maurizio Battista.

   
L’alchimia tra Cruciani e Parenzo è funambolica. Non è semplice riuscire a gestire la massa informe e critica di personaggi improponibili transitati nel corso degli anni, in voce o in presenza fisica. E’ arduo cavare, dagli stessi, materiale di intrattenimento, nonostante le molte bestialità pronunciate. Gli ospiti e gli ascoltatori che telefonano vengono tutti fagocitati in questo bordello speziato, alcuni elevati a “opinionisti”. La Zanzara è l’accelerazionismo irriverente fatto radio, forget Nick Land, eccovi qui Er Brasiliano e Michelle Comi, Filippo Champagne e Marco Rizzo, le Marchi madre e figlia e Davide Lacerenza coi suoi nitriti, Vannacci e Kekko Napoli, quello della “Pecorina Dance”. Una catena di montaggio di casi umani e di gente assolutamente rispettabile frullati tra di loro in un caos demiurgico al cui interno ogni rotellina deve funzionare. Tutto deve essere veloce, tenere un ritmo infernale, ogni rallentamento minaccia noia mortale. “Non funzioni, non funzioni” accusa Cruciani incalzando quelli che si dilungano: li senti borbottare, perdersi, bofonchiare e snocciolare concetti dispersi e fumosi, vorrebbero, forse, dire qualcosa di serio, si sono illusi, poveracci, di potersi abbronzare mediaticamente. “Cosa vuoi dire?” Cruciani tenta la carta della maieutica a scuola dal Monnezza a cui segue inesorabile il silenziamento del poveraccio che ha telefonato. Lo sa bene il mitologico Edoardo da Treviso. Come Francesco da Novara, telefona, in apparenza, per dire una cosa seria: vorrebbe, con civile educazione, salutare profferendo addirittura dei “buonasera”, figuriamoci, già marca malissimo perché le regole del fuori, del mondo dipanato oltre le mura dello studio di via Sarca, nome semplicemente perfetto che fosse stato a Roma avrebbe aperto una serie di scenari geopornografici niente male, non si applicano in questo abisso radiofonico. Edoardo si incaglia nell’elargire titoli, dott. Cruciani, dott. Parenzo e viene impallinato con un sacrosanto “ma vai a fare in culo” da parte di un Cruciani imbizzarrito. Per un breve periodo, sempre cercando la propria identità e tentando di rifuggire dal già sentito, autentico incubo crucianiano, la trasmissione si lancia anche in scherzi telefonici a personalità importanti. Memorabile quello che porterà poi alla chiusura del format, una finta Margherita Hack che carpisce la confidenza del già presidente della Corte costituzionale Valerio Onida e che si fa rivelare dal costituzionalista, con candore virginale di questi, come i saggi nominati da Napolitano sono probabilmente inutili, mero espediente per prendere tempo. Siamo nel 2013 e le polemiche che ne seguono dimostrano quanto La Zanzara sia necessaria in questo disgraziatissimo paese; si parla addirittura di mobbing mediatico, Onida si scusa con Napolitano e Berlusconi, al quale aveva “augurato” di godersi la vecchiaia, ma rimane al suo posto, “a lavorare”, come ci tiene a far sapere. Ma nonostante i tentativi di inserire dei sotto-format, il vero successo, la vera voce della trasmissione è questa danza sul ciglio dell’abisso, mettere insieme nel pollaio geometricamente curato, come fosse un giardino alla francese, soggetti tra loro non semplicemente agli antipodi ma che provengono proprio da universi distinti e lontanissimi. Maranza e cosplayer di Articolo 52, neonazisti e mediatori culturali rom, modelle di OnlyFans e fanatici religiosi, vegani e cacciatori, astrofisici e terrapiattisti. La Zanzara è un circo Barnum ma non per il carnevale increscioso di personaggi che transitano per i suoi studi, quanto per la sua dimensione di opera d’arte totale e generalissima, non nel senso di Vannacci: un’opera capace di adattarsi ai gusti di, letteralmente, chiunque. Nella stessa misura in cui il circo Barnum è considerato l’archetipo fondante dell’effetto Forer, cioè quando un individuo davanti una serie di caratterizzazioni sufficientemente generiche è portato a riconoscersi in una o più di esse, allo stesso tempo La Zanzara ha partorito un pantheon di Sgorbions e di follie e di concetti astrusi e di personaggi che ci hanno portato a parteggiare per questo o per quello e, più in segreto, con spirito colpevole e tacito, ad essere divertiti o, addirittura, ad essere d’accordo con qualcuna di quelle follie. Un album delle figurine da freak show, da taverna malfamata di Caracas che appassiona insospettabili, intellettuali, potentati, tra cui molti di quelli che in pubblico la criticano e che poi, più o meno di nascosto, invece se la godono quale guilty pleasure.

    

La galleria è ampia e stupenda, topoi, ma pure topi, antropologici da romanzo di William S. Burroughs. Giovanna da Bologna, la divertita scambista che ha fatto epoca con la doviziosa e pacatissima narrazione delle sue gesta erotiche: svergina con strap-on il marito, e un estatico Cruciani, al sentire che moglie e marito fanno i pompini ad altri lui di coppia, allargando le braccia si lancia in un “beeeeeè gente di Bologna”, e Parenzo che le chiede da quanti anni siano iscritti, lei e il marito, alla Lega, e se vogliano uscire dall’euro. Susy da Varese. Il nerboruto Nico Taurus, gommista che nel tempo libero, maschera da toro sul volto, non monta solo gomme. Laura da Milano che, programmaticamente e con quella onestà che nessun politico potrà mai permettersi, esclama “a me piace il cazzo!”. “Qualcuno protesterà nelle alte sfere di questo posto” annuncia Cruciani “ma questa è la vita reale”, a suggellare diciassette minuti di disquisizione con Giovanna sulla penetrazione anale subita dal marito. La vita reale. Quella che viene perturbata dagli spettatori che telefonano con il viva voce o gli auricolari e che Cruciani, giustamente, rampogna severamente. “Tu Alessio, lo piglieresti mai in culo?” domanda epifanicamente il conduttore a un contestatore del ménage familiare di Giovanna, distruggendolo, lui e i suoi pregiudizi, in maniera molto più efficace di quanto Judith Butler abbia tentato di fare col gender giustapponendo le frasi di Michel Foucault, Pat Califia e di qualche sadomasochista di San Francisco, che è una Zanzara fatta città. Nonostante non esista un tema predefinito, una categoria, nel corso degli anni si sono geologicamente stratificati personaggi riconducibili ad aree tematiche che potrebbero condurre a una abilitazione scientifica nazionale alternativa. Il tema che va per la maggiore, oltre al sesso, è ovviamente la politica. Il giornalista Maga napoletano-veneto Enzo Spatalino, il cui conservatorismo vannacciano in sedicesimo ha condotto a epici scontri con Parenzo, apostrofato con un perplimente “ebbro”, definizione a metà tra osteria e applicazione della legge Mancino: “è ora di finiamola!”, “sacchetti a perdere”, Spatalino si infervora contro clandestini e sinistra, idolatra Trump, critica la moderazione della Meloni, con quel buonsenso da fattoria della Virginia profonda e una prossemica da Rush Limbaugh del Vomero. La ruspante Anna da Roma, la cui voce cartavetrata e i cui concetti taglienti contro omosessuali, lei non dice omosessuali, politicamente corretto e sinistra incarnano un robusto conservatorismo da Tor Bella Monaca. Jonathan da Prato, interveniente telefonico poi cooptato in trasmissione, soprattutto per i suoi duelli con la trans Clizia De Rossi, la cui aria intellettuale e di superiorità morale è talmente insopportabile da trasformare in potenziale elettore di Vannacci pure Madre Teresa di Calcutta. L’anarco-stalinista Tony da Milano con le sue canzoncine contro Israele, Charlie Kirk e chi più ne ha più ne metta. Per lo studio della Zanzara non è mancata anche Gaza, con Cruciani in divisa Idf, bandiera gigante israeliana alle spalle e collegamenti dall’Iran col Viceayatollah Mostafa Milani Amin, o Davide Piccardo, quello che ha pubblicato il libro dell’ormai defunto capo di Hamas Sinwar, Saif Eddine Abouabid, “l’islamico più famoso d’Italia” intento a duellare con l’europarlamentare della Lega Silvia Sardone. Ci sono i maranza e gli influencer della sicurezza, da Cicalone a Simone Carabella.

 

La Zanzara è l’occhio di Sauron che scandaglia gli insondabili abissi della società, estraendone come in un sanguinoso rituale Maya le budella più crude e vere, e con ciò anticipando i trend e in alcuni casi contribuendo a crearli. Il generale Vannacci è nei fatti un figlio della Zanzara. Senza nulla voler togliere al talent-scout Matteo Pucciarelli, della Repubblica, che ha tirato fuori dal cilindro il capolavoro letterario del fu-generale trasformandolo in personaggio pubblico, è stata La Zanzara a codificare il linguaggio tra il trash e il marziale del generalissimo. Ci soccorre sempre Paolo Mieli, il quale ha rimarcato come sia stato molto più efficace Cruciani, nel portare avanti discorsi di lotta frontale contro il politicamente corretto e di riaffermazione, sovente brutale, del senso comune piuttosto che lo stesso Vannacci. E d’altronde per maneggiare certo magma pastoso e incandescente, e non bruciarti, devi essere Cruciani. Guai a improvvisarsi. Il rischio è che a guardare troppo a lungo in ShinSekai, Illuminazione Cosmica, Pasquale Lino Romano, santo patrono del reddito di cittadinanza e degli assolutamente non permalosi napoletani, Paolo Sizzi con la sua frenologia fuori tempo massimo e razzializzata, poi saranno loro a guardare dentro di te. La recente campagna elettorale vannacciana in Toscana, tra pesci esibiti e passere, è stata nei fatti una (s)puntata maldestra della Zanzara, senza però brio, senza divertimento, senza risultati. Proprio mentre, invece, Cruciani e Parenzo colonizzavano i palazzetti di mezza Italia, sospinti nella loro blitzkrieg da Paolo Ruffini che ha lanciato l’idea di portare a teatro la trasmissione: un successo strepitoso, increscioso persino, che ha fatto dei due delle rockstar molto più efficaci di gente come Fedez e Elodie che iniziano a palesare problemi di riempimento di palazzetti, e tra poco magari pure dei pub.

 

La Zanzara, come volontà e rappresentazione, si espande in ogni cellula del sociale, chiama a raccolta le legioni di ascoltatori sempre rimasti silenti e gli “opinionisti”, tutti i gironi dell’Inferno di via Sarca giramondizzati per teatri, locali, palasport. Tipi umani variegati, magari avariati, distinti per appartenenza antropologica. C’è la maggioranza silenziosa parenziana, quelli che hanno sostituito Nixon con Parenzo e che si ritengono portatori non-intervenienti di un illuminismo tacito che inorridisce, proprio come fa David, al sentire certi discorsi e certi personaggi. Ci sono i sostenitori del direttore del Sole 24 Ore, Fabio Tamburini, ormai eternato in meme con la sua assoluta determinazione nel dirigersi verso il cesso delle donne quando trova occupato quello degli uomini. Si può qui assicurare che alti magistrati, capi dipartimento, grand commis assortiti ne siano stati influenzati e, quando colti in fallo all’uscita di bagni per disabili o delle donne, si siano giustificati, tirandosi su la zip dei pantaloni, con l’esatta formula magica già resa storica da Tamburini. L’idea di trasformare il direttore di un giornale dall’alto profilo istituzionale, sulle cui pagine la parola più trash in cui ci si può imbattere è “spread”, in una estensione della lotta nel fango rappresentata da certe laocoontiche disquisizioni complottiste e minacciandolo bonariamente di portargli su in ufficio qualche ospite, a partire dal Brasiliano col suo “Tamburini caccia i soldi”, è purissimo, cristallino genio. Radio24 è l’ecosistema perfetto per una trasmissione del genere, la quale se trasmigrata in altri lidi forse perderebbe questo sopraffino senso del contrasto. Perderebbe senza dubbio gli arci-nemici di Cruciani, il vicedirettore esecutivo Sebastiano Barisoni che quando sfora occupando lo spazio della Zanzara manda in bestia Cruciani e soprattutto la “viabilità” che interrompe la trasmissione agli inizi e sulla quale il conduttore princeps da anni si chiede, con verve infervorata e soavemente condita di insulti, a cosa serva se uno ha Google Maps. C’è stato un momento sublime, l’Armageddon crucianiano, che dovrebbe essere insegnato nelle scuole di teatro, in cui Cruciani ha prima celebrato il funerale della radiofonia, stigmatizzando i tre minuti, anzi i tre fottutissimi minuti di ritardo cagionati da Barisoni e poi, nella stessa trasmissione, Strade in Diretta commette il gravissimo errore di parlare della complanare Teramo-Mare: la complanare si trasforma nelle fauci nerissime dell’apocalisse di Giovanni, ed ecco che quando torna la linea in trasmissione Cruciani saluta il tutto con un ululato “la complanare Teramo-Mare porca di quella puttana, io vado pazzo!”. Non c’è nessuno che va sulla Teramo-Mare, non frega un cazzo a nessuno della Teramo-Mare, mentre Parenzo sottolinea che il traffico è uno dei momenti più alti della trasmissione soprattutto perché toglie spazio ai mostri che la popolano e che contribuiscono a rendere l’Italia un posto peggiore.


Naturalmente anche La Zanzara, come la vita, ha avuto il suo cigno nero, il fattore perturbante capace di alterare, per fortuna non irrimediabilmente, gli equilibri costruiti. E quel cigno nero è stata la pandemia. Ha incrinato rapporti, inasprito i toni, fatto allontanare dalla conduzione Alberto Gottardo, che era entrato nel 2018 a formare con Cruciani e Parenzo un trio, sciolto forzosamente nel 2021. E la pandemia si è portata via quello che è anche il primo, effettivo martire della Zanzara; il mitologico e scorrettissimo Mauro da Mantova, personaggio storico, no vax impenitente, amico di Spatalino e convinto che Parenzo fosse figlio del regista porno Riccardo Schicchi. Mauro è morto per Covid nel 2021, la sua scomparsa ha fatto scalpore, guadagnandosi spazio anche sui giornali ed è stato ricordato poi con commozione dai due conduttori superstiti. Questo drammatico tracimare nel reale della Zanzara, un reale che molto spesso appare uno spin-off della trasmissione, si è accompagnato a prevedibili polemiche. Quelle sulle donne e sul femminismo, sulla pornografia e la mercificazione del genere femminile, l’aver ospitato Asia Vitale, la ragazza vittima dello stupro di Palermo approdata su OnlyFans e che in questi giorni è tornata nell’occhio del ciclone per le sue dichiarazioni a latere di un podcast palermitano. Quelle sui complotti e sull’anti-scienza; mai stati sulla luna, assicura il predicatore Marco Zanasi, sempre a rischio infarto per quanto urla, quelle contro la scienza ufficiale di Jean Paul Vanoli che si beve, nel dubbio, la sua urina, gente che vede Illuminati e malvagi complotti, generalmente sempre a base di ebrei aschenaziti e mafia kazara, tutto sommato nulla che non venga ormai sostenuto pure in Parlamento. Nani terroni e nani rabbini, nani affittati per feste, nella riproposizione di una delle più incredibili vicende giuridiche che tra Germania e Italia ha affaticato giudici e accademici, ovvero il lancio del nano. Il Canepardo. Lo slave bdsm Coglionazzo. La filosofia di Michelle Comi, talmente surreale e cinica da esserle valsa ospitate ben oltre gli steccati dello studio di via Sarca, oltre che l’amore dichiarato nei suoi confronti da Nathan, uno dei figli di Parenzo, che dopo un fulmineo golpe alla Curzio Malaparte si è appropriato del microfono e ha urlato “Michelle io ti amo!” mentre il padre disperato in sottofondo gridava in maniera belluina.


Le polemiche sulle e contro le città. Di Roma abbiamo detto. Ma c’è pure Napoli. “In quale città ci sono trentacinquemila targhe straniere?” chiede Cruciani mentre parte un microsecondo di tarantella poi sapientemente silenziata. A Genova? Nooooo! A Bologna? Noooooo! A Pescara? Noooooo! E dove mai? Via di tarantella napoletana che può deflagrare in una torrenziale liberazione, rivelando una verità che tutti conoscevano. Ma La Zanzara non si ferma, è ovunque, contamina ogni spazio. Diventa meme, cultura di massa, magliette, claim crucianiani, “bè amico mioooo”, “qui siamo al top!”, “come lotta il Tigre”, che sarebbe Parenzo, “Il mitologico Sior”, dispositivi di comunicazione viralizzati. I suoi ospiti vengono seriosamente invitati a commentare l’attualità in trasmissioni di approfondimento. E così a Mattino 5 ti trovi la femminista Francesca Bubba a “complessificare” la vicenda dei tre carabinieri morti ammazzati nell’esplosione in Veneto, dopo che alla Zanzara ha raccontato di come stia decostruendo la mascolinità tossica del marito. Lo stesso Parenzo a “L’aria che tira” si sottopone alla mossa di mata leao, uno strangolamento da dietro, da parte di Cicalone. Lorenzo Ruzza, imprenditore degli orologi, altra icona zanzaresca e ormai epitome su Rete4 del fare impresa, prossimo ministro del Made in Italy, si immagina. Il mondo ormai è una puntata della Zanzara, e noi tutti siamo in fila in questo eterno casello di Carisio chiamato vita.