
Rocco Tanica (Ansa)
Editoriali
In difesa di Rocco Tanica, bannato per aver criticato Francesca Albanese
Nuovi servi del politicamente corretto: cancellare un artista perché ha espresso un giudizio polemico significa dichiarare che alcune figure sono intoccabili. E' l’idea del totem: non puoi nominarlo, non puoi ironizzarci sopra
Se osi dire che Francesca Albanese non è un totem, ti ritrovi subito nel girone dei dannati. Chiedetelo a Rocco Tanica, tastierista degli Elio e le Storie Tese, che per aver scritto che “è una compagna antisemita che sbaglia” è stato bandito da un festival, quello di Terre Tagliamento, come se avesse imbrattato la Gioconda. Il comunicato ufficiale è già un pezzo di cabaret: “Frasi volgari e sessiste incompatibili con i nostri valori”. Sessiste? Per aver usato il femminile di “compagno”? Forse avrebbero preferito la forma neutra, o magari la perifrasi “persona che sbaglia gentilmente ma con consapevolezza di genere”. La verità è che Tanica ha infranto il nuovo codice non scritto: si può ridere di papi, presidenti, cantanti di Sanremo, pure della gleba medievale, ma guai a criticare la relatrice Onu, guai esprimere dubbi su chi trasforma Israele in un nemico da abbattere. Quella no, quella è zona rossa.
Eppure, riletto con calma, il messaggio di Tanica era persino “gentile”: l’ha difesa dall’accusa di “idiota”, promuovendola a “compagna antisemita che sbaglia”. Il problema non è Albanese, che può rispondere e replicare. Il problema è la reazione: cancellare un artista perché ha espresso un giudizio polemico significa dichiarare che alcune figure sono intoccabili. E' l’idea del totem: non puoi sfiorarlo, non puoi nominarlo, non puoi ironizzarci sopra. Puoi solo inginocchiarti. Tanica non è un diplomatico, non è un professore di diritto internazionale: è un musicista satirico che da trent’anni prende in giro chiunque. E proprio per questo, oggi, vale la pena difenderlo. Perché se persino chi ha inventato “Servi della gleba” deve diventare servo del politicamente corretto, allora vuol dire che la gleba ha vinto. E che i padroni di oggi non portano la frusta, ma il regolamento etico dei festival culturali. Ed è un paradosso che proprio lui, l’autore di un inno alla servitù ironica, venga silenziato dai nuovi padroni del pensiero. Morale: siamo tutti servi della gleba. Ma senza groove, e senza tastierista.