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la relazione con il tech

L'inevitabile ossessione da social, ovvero come ci relazioniamo al “mondo nuovo”

Michele Silenzi

Dalla nausea dello scrolling compulsivo alla ridefinizione della coscienza collettiva: lo smartphone non è solo una distrazione, ma il simbolo di un mutamento profondo nel rapporto tra uomo, tecnica e percezione. Un fenomeno storico più che morale, che interroga il nostro presente e plasma il nostro futuro

Chi lavora all’interno di quella che viene famigeratamente chiamata industria culturale, o chi fa lavori che richiedono molta concentrazione, o anche semplicemente chi dedica del tempo a quella che si può definire “vita contemplativa”, in una delle sue mille forme quasi sempre residuali, sa benissimo, lo sappiamo tutti, che lo smartphone è una sorta di dolce, stucchevole, castigo autoinflitto. Un’infinità di tempo-concentrazione-idee fa perdere il quasi sempre inutile “scrollare”. Si sa e si stra sa! Genera una sorta di nausea intontente a cui però non riusciamo spesso a fare a meno, percependo quel dito che fa agitare in su e in giù le immagini, quel movimento fittizio, come un’azione vera e propria sul mondo che si srotola davanti come se effettivamente ne fossimo parte. E così, per tutti quegli attimi, che spesso diventano mezze giornate, gli scorni, le noie, gli assilli, sembrano allontanarsi nell’ottundimento visivo e uditivo. Anche questo si sa!

Tuttavia tale situazione, pur cercando di tenerci ben lontani da ogni giudizio moralistico, appare come un problema oggettivo, inevaso, forse impossibile da risolvere ma che pure ci interroga perché lo schermo smart, in qualsiasi sua forma, è diventato un’estensione del nostro stesso essere. Siamo in tutto e per tutto modificati, adattati, evoluti (nel bene o nel male) insieme a esso. Di studi sull’influenza sulla formazione stessa del cervello che la relazione con gli schermi smart comporti fin dalla più tenere età ne abbiamo letti tanti, o almeno ne abbiamo sentito parlare. Così come delle distorsioni sulle menti più adulte. 

Detto questo, e assunti come giusti tutti i discorsi sulla pessima influenza della combinazione smartphone/social/notifiche continue, non è forse vero che nell’ultimo secolo e mezzo il ritmo di ciò che ci intrattiene, di ciò con cui siamo costantemente in relazione e che ci tiene tra noi in relazione, è sempre accelerato, così come è accelerata la nostra percezione delle cose? 

All’inizio del Novecento, dove pittura, narrativa, teatro la facevano da padrone nella cultura/intrattenimento, l’arrivo del cinema fu valutato, da buona parte dell’intellighenzia, come uno strumento terribile che con la velocità delle sue immagini e la potenza dei suoi suoni non faceva altro che imbambolare le masse (divenute poi effettivamente preda di dittature che sapevano giocarci in maniera formidabile, e spesso artisticamente lodevolissima – da Leni Riefenstahl a Eisenstein, sì quello della Corazzata Potemkin, giusto per fare gli esempi più noti).

Con l’avvento della televisione, poi, l’intellighenzia di matrice Scuola di Francoforte si è proprio stracciata le vesti. Quello era il capitalismo che ti entrava in casa e ti bombardava e sottometteva con l’immagine proiettata costante di un benessere aspirazionale per cui si sarebbe dovuto lavorare tutta una vita senza la minima possibilità di raggiungerlo. 

Le osservazioni sui social di oggi, TikTok, Instagram, eccetera sono simili: ossessivi, grossolani, ripetitivi, eppure forse interamente necessari. Nel senso che questo “accelerazionismo” dell’intrattenimento non è che un inevitabile passaggio della storia della relazione tra l’uomo e la tecnica. C’è una sorta di “pressione” a cui forse non possiamo resistere. Se da un lato questa pressione è dettata dalla tecnica, dall’altro la tecnica è creata da noi. 

Allora si potrebbe pensare che l’influenza che questi strumenti hanno sulla formazione dei cervelli degli uomini e delle donne di domani fa parte semplicemente di una ri-formazione, di un ciclico mutare della percezione delle cose degli uomini. Il mondo cambia insieme al mutare della nostra capacità di agire su di esso e in base al mutare della nostra percezione di esso, e tutto questo avviene attraverso gli strumenti tecnici che continuamente creiamo. Da questa prospettiva è quindi inevitabile che “il mondo nuovo”, o più semplicemente la società che ciclicamente si rinnova, passi anche da questa ri-formazione della percezione del mondo attraverso la tecnica che ci diamo. Dove questo condurrà, a quale mondo tutto ciò darà vita, è un altro discorso. 

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