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estate con ester

Scriversi, scriversi sempre, scrivere a tutti, anche senza più nulla da dire

Ester Viola

L'ipercomunicazione ha riscritto le regole della socialità. Il silenzio è diventato una devianza comportamentale e scriversi è l'unico segno d'interesse che ormai riconosciamo. Moriremo di eccesso di comunicazione

Moriremo di eccesso di comunicazione, sono sicura. Nessuno sta più solo sul cuor della terra, magari stare un po’ soli, non te lo lasciano fare. Siamo tutti connessi, impossibile non avere amici, veri, online o chatbot dell’intelligenza artificiale. Solo ci rimane solo chi vuole, anzi nemmeno lui, inutile scansare la compagnia, la compagnia prima o poi ti raggiunge. Parliamo, parliamo sempre. Messaggi Whatsapp, cinquanta buche della posta sempre aperte, gruppi volontari o coattivi, chat dei genitori, chat della famiglia, chat dell’ufficio, chat del pettegolezzo e chat carbonare. Segni particolari: non puoi andartene. Altrimenti devi spiegare.
 
Nessuno si tiene una parola, il silenzio è diventato una devianza comportamentale, una scostumatezza grave. Ma come, non rispondi? Perché non hai risposto? Ce l’hai con me, non mi vuoi più bene, hai di meglio da fare, ti ho forse fatto qualcosa io? E’ una tangenziale infinita delle parole: ci si tiene aggiornati, si sta dentro l’ingorgo coi clacson, si risponde, si partecipa. Perché succede qualcosa di interessante? Non, non succede mai niente, ma si deve parlare. Scriversi è segno d’interesse.

E sarebbe anche bello, se non si fosse trasformato in moto perpetuo. Io non so come fanno i più giovani, chi non ha più l’età per fidanzarsi canta i te deum, meno male che siamo vecchi, avete presente cos’è diventato l’amore, lì fuori? Cosa precede le parole “ci incontriamo”? E’ un inferno di preparazione e manutenzione infinita, serve la laurea in ingegneria gestionale: messaggi, reminder, piccoli check-in, cuori di cortesia, emoticon omeopatiche, fluidificazioni sintattiche varie. Devi esserci, devi stare lì, scrivi, dimostra di essere simpatico, disponibile e brillante. Devi passare l’esame. Il silenzio è una cosa sospetta. Non puoi sparire dal flusso e farla franca. Non è accettabile sottrarsi. Chi ti credi di essere, per non parlare? 

Da quant’è che non si può più dire “ci sentiamo” e significava davvero forse mai? Ma non era una bella libertà? Perché l’abbiamo buttata via? Non sono troppe le chat a cui abbiamo giurato fedeltà?  Guardate che ogni contratto di presenza emotiva seppur minima è una forma di lavoro, scriversi troppo uccide e non fortifica. A ogni “Ti scrivo” uno è tentato di rispondere “No, per carità, mi scrivono pure in troppi”. Quanti siamo, a non avere niente da dire? Le relazioni erano una volta un’occupazione del tipo divertente, ovvero: hobby non a tempo pieno. Ora è tutto è uno stare al telefono. E’ un continuo, non si smette mai.  La gente ha il mal di mani, là fuori, per stare su Whatsapp. Siamo finiti in un call center mezzo affettivo e mezzo professionale dove non si risolve nulla. Le relazioni sono diventate comunicazione solida, c’è solo flusso, il flusso parla per sé. 

Nel frattempo, sfiniti dalla presenza online, di sera preferiamo starcene a casa quieti. Per forza il cinema muore, la letteratura muore, siamo già distrutti dalle parole della giornata, non ce la facciamo a prendercene sul gobbo altre. Per non parlare di quando ci si dovrebbe incontrare. Parliamo tutti i giorni, perché ci dobbiamo vedere? Finiti gli argomenti, finito tutto. C’è qualcosa di sgradevole, nel chiedere altra presenza. La nuova crudeltà sentimentale si consuma infatti – come tutti sanno – nella sottrazione all’incontro. Nell’indifferenza millimetrica del non chiedere “andiamo a cena, allora?”. I non-innamorati, per esempio, sono diventati bravissimi a non dare niente senza sembrare cattivi. Sì ti scrivo, ma incontrarsi è un’esagerazione. Scriviamoci ancora, più avanti si vede.

Così ci si ritrova in questa parodia della libertà sessuale in cui nessuno deve più presentarsi: una generazione intera è lì fuori appesa a una chat di logoramento sentimentale che sembra progettata da Kafka se avesse scritto commedie romantiche sadiche. Anche il bisogno di silenzio lo devi comunicare. Con educazione, ma espresso: “Scusa se non ti ho scritto, è che [scusa a piacere]”. Come la ricetta del dottore. Torniamo al diritto civile antico: la sparizione libera. Non quella tattica, solo l’eclissi normale. Il silenzio del tipo migliore, “non mi sono fatto sentire perché non avevo niente da dirti”. La cicala potrà ben scocciarsi di cantare in chat.