Una donna scorre lo smartphone sdraiata su un'amaca (Foto di Sebastian Kahnert/picture alliance via Getty Images) 

estate con ester

La grande ritirata. Sui social ci siamo ancora, ma solo a osservare. Cosa? Le réclame

Ester Viola

Prima la tecnologia ha reso sfizioso e facilissimo condividere, dopodiché il contesto ha reso molto più difficile volerlo fare. Stiamo entrando nel "Posting Zero", si dice sul New Yorker. E la socialità si è spostata altrove

Era così bello stare sui social una volta. I like arrivavano gratis, con poco sforzo, bastava una brioscina fotogenica al bar col cappuccino decorato e arrivavano mille estimatori della vita semplice. Eravamo liberi, con un enorme rispetto delle scemità altrui e buona creanza tra passanti. 


La condivisione isterica e inutile non dava fastidio a nessuno, come la vanità. Con le storie dal divano di casa i Ferragni ci avevano fatto una serie tv e vari milioni di sponsor. Ma non era una plutocrazia dei follower, anche le formiche nel loro piccolo potevano pubblicare il tramonto dal lido, andava bene tutto, Ostia, Bordighera o l’isola di Spargi, ognuno secondo le sue possibilità. Era il momento dell’umanesimo digitale, diritto di parola, visibilità e apprezzamenti garantiti. Era il momento in cui potevi postare due bicchieri sul tavolino acciocché il tuo ex capisse che stavi facendo la bella vita ed eri parecchio richiesta. Com’eravamo spensierati. Che ci è successo poi? Perché ci siamo ammutoliti così?


Oggi c’è la grande ritirata, il compulsivo social non usa più. Postiamo poco e al massimo guardiamo dal buco della serratura le vite degli altri che si sbattono per venderci le cose e fanno gli sketch, i box domande, la divulgazione, le dodici fatiche di Eracle del mercato diffuso online. Fare pubblicità ultimamente spezza la schiena, mi pare di capire. I borsellini sono chiusissimi e i follower molto esigenti: se non rispondi a quindici domande sull’elastico per capelli sponsorizzato non te lo compro. Tre euro.


 Stiamo entrando nel Posting Zero, si dice sul New Yorker: la ritirata silenziosa delle persone dai mondi digitali. Nel senso: ci siamo ancora, ma solo a osservare. Ed è curioso perché cosa guardiamo? Prevalentemente le réclame.


Hanno cambiato scopo, i social? Non è più la condivisione? E questo scopo nuovo qual è? 


Il motivo ufficiale sarebbe quello etico, ma la cosa è solo presuntiva e secondo me non plausibile: la spiegazione sarebbe che tra guerre, crisi climatiche, politica spettacolo e indignazione, ogni gesto personale rischia di sembrare cringe, come dicono i giovani. Il rasoio di Occam taglia però in un altro punto: da quando sono entrati i soldi, nei social, e i piccoli e grandi interessi, l’algoritmo ha cominciato a comandare e decidere cosa va giù e cosa va su. E quindi la gente non prende più i like, e non è più incentivata a pubblicare. Il mondo gira intorno alla vanità, mica alla morale. 


Siamo entrati nella paralisi comunicativa per assenza di spettatori. Si richiede troppo sforzo per essere visti e quindi si rinuncia. Come stare a una cena coi notabili e trovare qualcosa di intelligente da dire. Una sudata inutile.


Quindi per fare una sintesi: prima la tecnologia ha reso sfizioso e facilissimo condividere, dopodiché il contesto ha reso molto più difficile volerlo fare. L’algoritmo sta lì, pronto a punire: se fai gli autoscatti sei boomer, se posti la torta di compleanno e la festa con gli amici sei un fossile. E allora guardi gli altri senza partecipare, che tristezza. Vuol dire che ti passerà anche la voglia di far compere.

 
L’amatoriale è scomparso, ma non perché è imbarazzante. Perché ci è stato tolto quel che ci era più caro: il nostro piccolo pubblico, e il fiore vanesio senz’acqua muore.


E’ stata una grande idea, penalizzare il casuale? Era questo che volevamo? Il professionismo forzato, la performance permanente, il postalmarket invasivo? I giovani non hanno mai vissuto lo spontaneismo online. Oggi il loro profilo privato è curato, si fa in sottrazione, solo sette foto studiatissime e con la regia. Non è che non vogliono più essere visti, è che vogliono essere visti come dicono loro, solo al meglio. Il che è una tragedia: è fondamentale l’angolo brutto delle cose, specialmente della nostra faccia. 

    
L’altro controeffetto è che la socialità si è spostata altrove: nelle chat chiuse, segrete e ad accesso limitato, nei messaggi diretti, nei gruppi whatsapp. Dove il mondo è ancora più cattivo che nei social. Una prece per noi.
 

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