
Foto di Tetiana SHYSHKINA su Unsplash
la strategia
Agire adesso, se vogliamo che i prossimi Nobel siano europei
L’Europa rischia di restare indietro nella corsa globale all’innovazione se non attrae talenti e investe in poli accademici d’eccellenza. Il Rapporto Draghi propone misure concrete per colmare il divario con Stati Uniti e Cina, come il “Professore Ue” e incentivi per inventori
L’innovazione radicale di frontiera tende a concentrarsi in poli di innovazione sviluppatisi intorno a università al vertice della ricerca mondiale. L’esempio per eccellenza è la Silicon Valley. In un’area più piccola della provincia di Roma convivono Stanford, la University of California a Berkeley, Google, Apple, Nvidia, Tesla, OpenAI, oltre a centinaia di startup. E’ qui che una tesi di dottorato può trasformarsi in una tecnologia dirompente, come è accaduto con il motore di ricerca di Google. E’ da qui che sono emersi alcuni tra i più grandi inventori contemporanei: da Brin (Google) ad Altman (OpenAI), da Musk (Tesla) a Hassabis (DeepMind), fino a Collison (Stripe) eHuang (Nvidia).
Con l’eccezione di Altman, gli inventori citati sono immigrati, spesso dall’Europa, come Hassabis e Collison. Marta Prato – ricercatrice in Bocconi – stima che circa un quarto dei brevetti statunitensi sia firmato da migranti, e il 27 per cento di questi da cittadini europei. L’America ha costruito la propria supremazia tecnologica grazie alla sua capacità di attrarre i migliori ricercatori e inventori dal resto del mondo. E’ un processo iniziato alla fine degli anni Trenta, quando l’America accolse i migliori cervelli europei in fuga dal nazi-fascismo, tra cui Einstein, Modigliani, von Neumann e i fisici di Via Panisperna, incluso Fermi. E il talento va dove trova altro talento, innescando un circolo virtuoso che, nel secondo dopoguerra, ha via via favorito gli Stati Uniti e segnato una crescente perdita di capacità innovativa da parte dell’Europa, evidenziata durante la recente rivoluzione tecnologica nell’informatica e nell’intelligenza artificiale.
L’Europa conta 25 poli d’innovazione tra i primi 100, tanti come Stati Uniti e Cina, ma solo Parigi entra nella top 20, e nessuno nella top 10. Tra i primi 10, 4 si trovano negli Stati Uniti, mentre gli altri sono prevalentemente in Asia, con 3 in Cina. L’Europa è presente, ma non ai vertici, e questo è un problema: i primi 10 poli generano circa due terzi dei brevetti a livello globale. Lo stesso fenomeno si riscontra tra le università di eccellenza: secondo il Nature Index, nel 2024 tra le 50 migliori università al mondo nelle scienze, solo tre si trovano nell’Unione Europea, contro 19 in Nord America e 22 in Cina. L’Europa vede oggi la sua capacità innovativa minacciata sia dagli Stati Uniti sia dalla Cina, diventata una superpotenza tecnologica in soli due decenni.
Oggi, l’Europa ha l’urgenza di far emergere centri accademici di eccellenza mondiale attorno ai quali possano svilupparsi poli tecnologici d’avanguardia. Le condizioni geopolitiche sono particolarmente favorevoli. I pilastri che hanno reso davvero grande l’America dopo la Seconda guerra mondiale sono oggi messi in discussione dall’Amministrazione Trump: le sue politiche migratorie discriminatorie, l’incertezza sui finanziamenti scientifici e l’attacco intimidatorio alle istituzioni accademiche hanno reso meno attraente l’America. Un sondaggio pubblicato su Nature il 27 marzo scorso, rivela che tre quarti degli scienziati intervistati basati negli Stati Uniti stanno valutando di lasciare il paese.
Il Rapporto Draghi contiene quattro raccomandazioni chiave per potenziare la qualità dell’accademia europea d’avanguardia. Sarebbe auspicabile che si trasformassero in politiche concrete includendole nel prossimo Quadro finanziario pluriennale dell’Ue per il periodo 2028–2034, ora in fase di definizione. Primo, perché diano un solido contributo alle istituzioni di ricerca europee, gli scienziati di fama mondiale devono essere attratti in modo permanente. Le istituzioni di ricerca europee sono, per lo più, finanziate con soldi pubblici e faticano a offrire retribuzioni attraenti per leader accademici globali — in particolare nei paesi della Ue a più basso reddito. La creazione della figura del “Professore Ue”, proposta nel Rapporto Draghi, supera questo problema. Con questa figura, uno studioso di statura internazionale, viene assunto formalmente come funzionario europeo e riceve lo stesso trattamento dei dipendenti dell’UE di pari livello. La selezione del professore verrebbe fatta in base a criteri rigorosi e integrato nelle università europee disposte ad offrire condizioni di lavoro adeguate, secondo il principio della “doppia coincidenza di desideri”. L’obiettivo è garantire pari opportunità a tutte le università, premiando quelle più ambiziose che puntano sull’eccellenza accademica.
Secondo, sarebbe auspicabile introdurre incentivi fiscali per gli inventori – individui che in passato hanno depositato brevetti di valore. Alcuni di loro sono vere e proprie “superstar” in grado di generare, nel corso della loro carriera, brevetti e imprese dal valore di miliardi. C’è evidenza che tali inventori rispondano positivamente agli incentivi fiscali. In pratica, si tratterebbe di creare una “golden visa” per inventori disposti a trasferirsi nell’Unione Europea da paesi extra Ue, offrendo loro accesso facilitato alla residenza, una tassazione agevolata nei primi anni e canali preferenziali verso i principali centri di ricerca tecnologica d’avanguardia.
Infine, oltre all’istituzione della figura del “professore Ue”, il Rapporto Draghi propone di raddoppiare il numero di beneficiari delle borse dello European Research Council (Erc) destinate a finanziare progetti di ricerca d’avanguardia e di istituire un nuovo programma Erc-I per finanziare centri di ricerca e dipartimenti di eccellenza, ispirato a modelli di successo come il francese LabEx, che ha contribuito a creare poli scientifici ad alta intensità di talento. L’Europa è stata la culla della scienza moderna e delle rivoluzioni industriali. Se vogliamo che i prossimi Nobel, i futuri Sergei Brin e le nuove Marie Curie nascano in Europa, il momento per agire è ora.
Luigi Guiso e Claudio Michelacci
Einaudi Institute for Economics and Finance

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