La foto di un gruppo di femministe negli anni Settanta (Ansa) 

Padri fiacchi e distratti, figli fragili e violenti. È la nostra non-società

Alfonso Berardinelli

L’autorità patriarcale rovesciata dalla generazione del ’68, ma oggi c’è da chiedersi che genere di genitori ha prodotto. Si è voluto piacere ai più giovani, ai quali non si è stati capaci di insegnare niente

Femminicidio. Educazione affettiva. Governo e opposizione. E che ne è della vita sociale? Mi rivolgo a qualcosa che si dice in giro per avere una modesta opinione quotidiana. Un’opinione, se possibile, in sintonia con quella di qualcun altro.

  
Comincio da un articolo di Concita De Gregorio uscito su Repubblica il 24 scorso: “Elly e Giorgia, se non ora quando?”, nel quale si dice subito: “Incontratevi, parlatevi. Fate un elenco di quello che vi accomuna, per una volta... A cominciare dalle cose quotidiane”. Quando ho letto queste parole mi si è per così dire allargato il cuore, perché alla politica è sempre mancato proprio questo: un principio morale, un presupposto emotivo, affettivo, di reciproca comprensione. I sentimenti morali sono necessari alla società oggi più che ieri. L’articolo di De Gregorio tocca questo punto sensibile di enorme significato (magari simbolico) per il futuro. E’ l’idea che una politica fatta dalle donne possa finalmente non somigliare più alla maledetta politica ipocritamente competitiva che fanno gli uomini (voglio vincere! mors tua vita mea!). Un futuro politico che sia in mano più alle donne che agli uomini, credo che dobbiamo augurarcelo. Si dice che fra donne e uomini deve esserci un uguale trattamento. Spero di no. Quello che credo e vedo, senza voler idealizzare nessuno, è che le donne hanno mostrato da qualche decennio di essere meglio degli uomini nella prospettiva di una società migliore. Per fortuna le nuove generazioni di giovani donne lo hanno già dimostrato: lavorano meglio, con più intelligenza, più efficienza, più senso di giustizia. Non sono immuni dalle molte forme di alienazione culturale e sociale che affliggono il mondo. Ma nessuno lo è, né riesce a esserlo anche volendo. Quella che offre la situazione italiana attuale, due donne che guidano il governo e la prima forza dell’opposizione, è un’occasione che non andrebbe perduta. Per fortuna a qualcuno è venuto in mente di dirlo: Elly e Giorgia, per favore, incontratevi e trovate ciò che non vi divide.

  
A proposito di “educazione affettiva” (programma vasto e tutto da pensare) mi trovo d’accordo con l’articolo di Massimo Ammaniti uscito sempre su Repubblica lo stesso venerdì 24: “Il patriarcato non c’entra”. E’ infatti da più di mezzo secolo che nelle famiglie il modello patriarcale è sparito. Sono piuttosto i giovani, i figli e le figlie ad aver avuto un ruolo dominante di guida. Un ruolo innovativo (il mercato ha un gran bisogno di innovare senza tregua) contro il conservatorismo, l’autoritarismo, il controllo repressivo, la tradizione. Stranamente nei discorsi che circolano non si parla della generazione del Sessantotto che ha rovesciato l’autorità patriarcale. Non si è sottratta però al mito del potere e della violenza risolutiva: un errore gravido di conseguenze avvelenate. Quando nel 1977 vidi che nelle Brigate rosse e in Autonomia operaia non mancavano le donne, mi dissi che purtroppo le donne subivano il fascino degli squallidi capetti e sacerdoti della violenza politica e del terrorismo.

  
Oggi c’è da chiedersi di nuovo che genere di padri e di madri ha prodotto la generazione del Sessantotto (e dell’orrendo Settantasette). Non siamo stati padri tradizionali, ma neppure dei veri padri “alternativi”. Semplicemente padri fiacchi e distratti, se non assenti e incapaci. E’ stato il trionfo della cultura del narcisismo e del giovanilismo intesi come valore in sé e per sé “progressista”. Gli anni Sessanta, con il crollo finale del patriarcato, hanno creato i giovani e gli adolescenti di oggi. Si è voluto piacere ai più giovani, ai quali non si è stati capaci di insegnare niente. Come padri abbiamo prodotto dei giovani che non sanno dire no, né ribellarsi in piena consapevolezza: carne da rivoluzione informatica permanente, senza una direzione e senza un fine di miglioramento sociale e politico. Ammaniti lo dice: sono giovani maschi fragilissimi e violenti. Va aggiunto: incapaci di autocontrollo, di empatico altruismo e di capire che i fatti non sono valori a cui ubbidire, e che chi socialmente vince e sale in alto è quasi sempre una canaglia. E’ dal vuoto psicologico, affettivo e culturale che si sprigiona la violenza distruttiva e autodistruttiva.

 
C’è poi una mezza frase che ho sentito pronunciare dal presidente Mattarella: nella violenza sulle donne c’è “il fallimento di una società”. E’ da qui che si dovrebbe riprendere a ragionare: dell’intera società. Una società fallisce quando manca di socialità. La nostra è da tempo una non-società senza individui liberamente diversi gli uni dagli altri, che sappiano distinguere fra realtà e irrealtà. I costruttori di irrealtà culturale di massa sono lavoratori insonni. Si arricchiscono ai danni e alle spalle di chi non sa più dire no a ciò che gli si vende e gli si impone.