L'editoriale dell'elefantino

Il caso Seymandi-Segre è solo questione di tradimento

Giuliano Ferrara

Quel che ci tiene attaccati a questa storia non dipende da una "questione di dottrina morale e di assetto societario in conflitto di interessi", come direbbe il cantante dell'estate. Ma quel sentimento di truffa, quel giocare da bari che avvolge tutta questa vicenda

Tradire, tricher, betrügen, to cheat ovvero imbrogliare, ingannare, raggirare, truffare, barare. Alla canzone dell’estate di Cristina Seymandi manca qualcosa che è presente nel linguaggio, nel significato, nelle parole prima che nella vita privata e nei suoi sempre presunti peccatucci. In una lettera avvocatesca, femminista e comprensibilmente segnata da vittimismo, preludio a una contesa legale che farà epoca, la signora che doveva andare in sposa al dottor Massimo Segre e in viaggio con lui a Mykonos mostra ampiamente che in tutta la storia originata dalla festa o conferenza stampa in musica ci siamo persi qualcosa di rilevante. La privacy è sacra e non saremo noi, quelli del “siamo tutti puttane” e della controcrociata sul comune sentimento del pudore, a violarla in un caso amorosamente connotato dal sospetto di tradimento. Figuriamoci.

 

Un’altra canzone dell’estate che mi è rimasta nell’orecchio dalla radio (“mon oreille est mon guide” era l’idea di Carlo Goldoni) dice che l’amore “non è una dottrina morale né un assetto societario in conflitto di interessi”. E a proposito di musica: in un libro a lui dedicato, Daniela Goldin Folena scrive in un saggio pieno di stile che dal celebre scritto dell’indimenticabile Mario Bortolotto sul Lied romantico in Schubert, si trae all’orecchio “un’ideologia del wandern, il vagabondare alla ricerca di se stessi ma anche la fuga dalla realtà e dal proprio presente, biografico e anche umano-psicologico, quali realizzati nei Lieder schubertiani” (Quodlibet Studio). La lettera semilegale della signora Seymandi non afferma e non nega, non fugge dalla realtà ma non accetta giustamente incursioni nel suo privato, non si spiega come di certe cose non si possa discutere bonariamente e anche intensamente in privato, lamenta perfino la scomparsa anticipata di un anello di fidanzamento, lo zaffiro della madre di lui, circostanza a suo dire parecchio sospetta alla luce di quanto accaduto dopo. L’amore è un viandante e si espone a simili equivoci. La ricerca schubertiana e goethiana di se stessi nel presente vissuto è una libera facoltà poetica che nessun bacchettone può mettere in discussione. Il bambino rincorre la rosellina di campo e trova una strana pace nell’amore, ma vuole reciderla e lei lo punge perché non si dimentichi mai più del loro incontro. E una puntura è una puntura, non c’è dolore che tenga, non c’è Weh né Auch, bisogna subìre. “Röselein Röselein Röselein rot/ Röselein af der Heiden”.

 

Basta che nel Gran Commento intorno a una storia di non-matrimonio, o se preferite di matrimonio mancato, non si perda, come è curiosamente avvenuto nelle cronache e potrebbe avvenire in un dibattimento legale sulla presunta violenza privata ai danni di una signora, il companatico o la companaticità che dà sapore e gusto al tutto. Non è questione di dottrina morale e di assetto societario in conflitto di interessi, per dirla con il cantante di questa estate, è questione di tradimento. Eppure la materia prima di questa vicenda che richiama Fruttero, tutta dipanata o sbrogliata nella Torino della “Donna della domenica”, non sono i panni in pubblico, non è la dialettica del presunto virile a petto della fragilità del presunto femminile, non è la musica d’accompagno di Bob Sinclair o lo stupore intristito degli ospiti, che non avevano mai sentito parlare di cose del genere e non capivano perché fossero stati invitati a una simile cerimonia, non è l’ipocrisia affermata o violata nella lettera di Cristina a Rete 4 (Rete 4!), è appunto solo e soltanto quel tradimento, quella truffa, quel giocare da bari che è il concetto da tutti noi perduto nella legalistica presunzione del presunto. Flaubert disse abbastanza misteriosamente: “Madame Bovary c’est moi”. Beh, Röselein è lui, il dottor Segre. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.