Chi brucia gli stracci e chi li ripara

Fabiana Giacomotti

Un filo unisce i milioni di tonnellate di abiti smessi che ogni anno inviamo in Africa al rogo che ha distrutto la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto e infine il piccolo segno positivo che arriva dalla Francia, un bonus per la riparazione degli abiti usati

Roghi di autocombustione, roghi dolosi, e poi un piccolo segno di speranza. Dev’esserci per forza un filo, in questo caso perfino in senso proprio, che unisce i milioni di tonnellate di abiti smessi che ogni anno inviamo in Africa per liberarci la coscienza dagli sprechi e che contribuiscono in maniera rilevante alle emissioni di gas a effetto serra; il rogo che ha distrutto quello che della nostra cattiva coscienza è uno dei simboli, e cioè la “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, data alle fiamme in una calda notte d’estate in piazza del Municipio, a Napoli e infine il piccolo segno positivo che arriva dalla Francia, un bonus per la riparazione degli abiti usati. Fonds réparation textile si chiama, e prevede uno sconto diretto in fattura fra i sei e i venticinque euro per le riparazioni effettuate presso le sartorie e le calzolerie che aderiscono all’iniziativa, a partire da ottobre 2023. Una piccola cosa, ma un segno importante, dopo mezzo secolo di cultura usa-e-getta; un filo di fumo bianco, un calumet della pace acceso nel difficile rapporto fra l’uomo e l’abito e fra la società di massa e il consumo.

 

Dalla sua creazione, nel 1967, su ispirazione della “Venere con la Mela” dello scultore danese Bertel Thorvaldsen, l’opera simbolo dell’arte povera aveva viaggiato in mezzo mondo, riprodotta in diverse versioni, portando il messaggio, sempre attuale, della forza della bellezza, della capacità del mondo e dell’umanità di rigenerarsi. Chi di abiti e di consumismo eccessivo si occupa, ha visto la distruzione della grande Venere, che il maestro ha giudicato un’espressione della brutalità del mondo attuale, come una contro-critica all'eccessivo consumismo di cui la statua è simbolo, a una società ormai mondiale che riduce tutto in stracci, ma è improbabile che si sia trattato di un gesto di ribellione all’arte, cioè di un gesto estremo di contro-protesta. E’ più probabile, anzi è quasi certo, che si sia trattato del gesto di una persona che soffre di patologie mentali.

 

Ma noi vogliamo continuare a vedere la Venere degli stracci come un’espressione dello sviluppo dell’umanità che non è estraneo nemmeno alla stessa Città dell’arte fondata da Pistoletto negli spazi di una fabbrica tessile ottocentesca, uno di quei terrificanti sweatshop sul quale si fonda la prosperità dell’occidente; una memoria sempre viva e sempre dolorosa, perché quando si entra negli spazi del Terzo Paradiso, con le arcate che si affacciano sul lungofiume, il rimbombo dei passi è di tale intensità che non puoi far altro che pensare a che cosa dovesse essere il frastuono di centinaia di macchine meccaniche al lavoro, estate e inverno, in quegli spazi.

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