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Da Valieva all'alternanza scuola lavoro. Diventare adulti in un mondo per vecchi

Manuel Peruzzo

Ci sono ragazzi che protestano nelle piazze, altri che gareggiano alle Olimpiadi e che scatenano altre proteste a favore di un'età minima per partecipare ai grandi eventi sportivi. Ma c'è davvero un'età per diventare grandi?

Il maschio bianco tossico di questa vicenda è una donna, bionda, russa e si chiama Eteri Tutberidze. Allena giovani pattinatrici che poi diventano campionesse mondiali, quando invece perdono si disperano e dicono “odio questo sport” perché all’argento preferiscono l’oro, ma corrono a omaggiare la loro spietata e adorata insegnante che ha passato ore, mesi, anni sul ghiaccio con loro a inseguire un ideale di perfezione scivolando tra infanzia e età adulta, trascinandole a terra, ti è piaciuto? No? Allora alzati e rifallo meglio, senza mangiare, senza bere, un po’ zarina un po’ carceriera, e forse addirittura preparando merende a base di trimetazidina, una sostanza dopante che aumenta la resistenza e il flusso sanguigno. Ma queste sono voci.

Più le tratta male più loro la amano, compresa la quindicenne Kamila Valieva.

Di Kamila Valieva si è parlato molto perché è passata dall’essere l’ennesima promessa del pattinaggio di figura all’essere la prossima meteora russa. Testata positiva al doping era condannata a risultare perdente anche qualora avesse vinto. Quando nell’ultima esibizione è caduta rovinosamente in mondovisione la sua allenatrice, Tutberidze, ha fatto una cosa che le mamme e i papà non avrebbero fatto, le ha detto una cosa che non siamo più abituati a sentire: “Perché hai smesso di lottare?”.

Il mondo l’ha subito condannata: peggio dell’ipotesi di drogare una ragazzina per renderla invincibile c’è l’idea di pretendere da lei tutto il meglio. Tutti si aspettavano una carezza, un abbraccio, un “vabbè dai, prendiamoci una cioccolata” come degno lieto fine da cuori su Instagram. A cominciare dal presidente olimpico Thomas Bach che ha detto: “Piuttosto che darle conforto, piuttosto che cercare di aiutarla, si avvertiva questa atmosfera agghiacciante, questa distanza”. Guardando la tv anche la madre di Sarah Scazzi era colpevole.
  

Non vorrei scambiaste questo articolo per una difesa degli abusi o, peggio, per un articolo sportivo. La vera domanda da porci oggi, ancor prima di chiederci quand’è che si diventa adulti, è se i ragazzi vogliano esserlo, degli adulti. La risposta sembra arrivare dalle piazze piene degli studenti italiani che manifestavano contro l’alternanza scuola lavoro (volevano tanto tornare a scuola per evitare di andarci, com’è normale). Oggi i giovani non contano più niente perché sono pochi e non hanno immaginazione, quindi riciclano le battaglie. Ieri in tuta blu operaista o in lotta contro McDonald’s, oggi invece bruciano il logo di Confindustria (ma non hanno neanche un conto in banca…). Da una parte una fabbrica di atlete adolescenti prepensionate che s’accendono e consumano come fiammiferi, dall’altra adolescenti che non hanno alcuna intenzione di crescere. C’è tempo.
  
Ma il tempo è relativo. Nell’epoca di Caterina la Grande a quindici anni si diventava imperatrice, oggi ci si chiede se a quest’età si possa pattinare o se a diciassette anni si possa fare uno stage senza essere un personaggio di Dickens. Dopotutto perché aver fretta d’essere adulti? I cinquantenni giocano con la Play dei figli e Mattarella è un giovanotto al secondo mandato.

   

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Ci sono due fronti in campo. Da un lato contro l’alternanza scuola lavoro c’è chi come lo storico Alessandro Barbero sostiene le ragioni degli studenti di rimanere studenti, ricordando che è stata una conquista degli anni Sessanta ottenere un periodo formativo uguale per tutti. Dall’altro lato invece chi pensa che l’età adulta possa giungere anche prima. L’illusione è forse credere che a nord e a sud, in un liceo e in un istituto tecnico, il figlio del dirigente e il figlio dell’operaio siano uguali. Non lo sono.

A ripensarci, se Thomas Bach guardando quella scena in tv si fosse solo accorto del classico rapporto che hanno migliaia di genitori esigenti e di insegnanti inflessibili coi ragazzini? Quell’estremo rigore che sconfina nell’insensibilità di chi esige il meglio da chi può dare il massimo. Sì, d’accordo, Tutberidze fa sembrare la madre di Tonya Harding e il padre di Andre Agassi due Teletubbies. Ma la freddezza è da intendere come il “volto disumano dell’addestramento russo” o è da intendere forse come l’incompatibilità di un atteggiamento gentile, sensibile e accomodante in una disciplina retta da bambole russe snodabili che eseguono salti sempre più tecnicamente complessi? Stiamo pur sempre parlando di uno sport in cui mentre provi dolore e commetti un errore sul triplo Axel devi continuare a sorridere.

Dopo Valieva il prossimo congresso della Federazione mondiale degli sport del ghiaccio promette di discutere dell'innalzamento dell'età per partecipare a un grande evento. Ma il talento ha un’età minima? Se sei potenzialmente il migliore del mondo devi aspettare per dimostrarlo per fare il tuo salto? Ogni genitore è convinto d’avere un figlio prodigio, a volte è persino vero e in quei casi tutto è fuori scala: la severità, lo stacanovismo, la caduta.

Forse possiamo non scegliere tra due mali, cioè se è meglio compatire un campione con una vita d’inferno o consolare amorevolmente un perdente. Si rischia di crescere una generazione di debosciati per non crescere una generazione di depressi. Il pericolo è quindi che insieme alle droghe, alle frustate e ai pericoli si elimini anche la cultura del lavoro, della fatica, della competizione e dell’auto miglioramento, considerate esclusiva per adulti, e che ai giovani non avrà più senso neppure più dire “Perché hai smesso di lottare?”

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