Nobiltà allegra ma non troppo

Michele Masneri

Viaggio nel mondo dell’aristocrazia italiana oggi, tra  splendori e rimpianti. Ecco Gelasio Gaetani d’Aragona

Giacca da soldato col nome Gaetani sopra, tuta, scarpe da ginnastica, capello lungo, tatuaggi di quando non se li facevano gli influencer ma i galeotti e i Re, un romanzo Harmony in inglese che usa come quaderno per prendere appunti, Gelasio Gaetani dell’Aquila d’Aragona, e pure Lovatelli, vive in albergo.

 

Dolente e fascinoso, sguardo divertito su tutto, come se l’aristocrazia fosse una particolare lente deformante per vedere meglio o peggio la commedia umana, questo sessantasettenne parla senza accento, ma arrotando un po’ le sillabe come se mettesse sempre tra virgolette spiritose quello che dice. La storia di Gelasio Gaetani dell’Aquila d’Aragona Lovatelli (“e non Lovatelli d’Aragona come scrivono tutti”) è una storia di nomi, innanzitutto, e pure di cognomi. Cosa sei? principe? Conte? “Tecnicamente sono “conte don”, e ride, imbarazzato, al sole dell’Esquilino, tra gli homeless e i locali nuovi fighetti, in piena miseria e nobiltà, perché questa faccenda dei titoli, e della nobiltà, va presa con un sorriso, soprattutto a Roma, la città in cui niente viene preso sul serio e perché mai dunque l’aristocrazia? Col favore delle tenebre nascono conti e marchesi e il “De” si abbassa a “de”, si sa. Quindi non sei il principe Gaetani. “No, il principe è il papà di Giovannino, marito di Ginevra Elkann. Il loro figlio tra qualche anno sarà il rampollo più ambito d’Italia, forse d'Europa. Pensa”. C’è un po’ di futuro in questa storia di nobiltà che è novantanove per cento passato.

 

La differenza tra Gaetani e Caetani è una vecchissima questione, poi: “la vera grande famiglia romana era quella con la C, i Gaetani con la G invece erano borbonici e scorrazzavano molto tra la Sicilia e Napoli. C’è la famosa domanda del bolognese imprenditore Gazzoni, ‘ma lei è Gaetani con la C o con la G, e uno di noi gli rispose, credo fosse mio padre: e lei è Gazzoni con la G o con la C?”. “Ma i Caetani sono estinti. Gli ultimi erano fichissimi. L’americana Marguerite, che creò la rivista Botteghe Oscure, diretta da Bassani. Leone, islamista. E soprattutto il mio omonimo Gelasio, diplomatico, che però fece anche l’operaio in America e poi fondò una compagnia a San Francisco”, dice, e si capisce che si ispira molto a questo antenato un po’ self made man, per quanto si possa essere self made in una famiglia con mille anni di storia.


E Lovatelli invece da dove spunta? “Questo conte Lovatelli ha lasciato tutto a mio padre, adottandolo, in cambio ha voluto che lui aggiungesse il cognome. Aveva sposato una Ersilia Caetani, con la C, archeologa, accademica dei Lincei, donna coltissima e piuttosto brutta, e rimase vedovo”. Si era appassionato alla famiglia, evidentemente, con la C o con la G. 

 

E il principe di Linguaglossa, che appassiona le cronache di questi giorni, principe siciliano, stordito d’amore bielorusso? Lo conosci? “Veramente no”, dice Gelasio, quasi scusandosi, e non è che si stupisca o si accigli. L’esercizio dello sdegno è così cheap. “Del resto oggi con la Repubblica uno  può scriversi conte, duca, principe, sul biglietto da visita. Non è mica reato. Se ti scrivi dottore o ingegnere non si può, ma conte e duca, sì. Ci sarebbe quella cosa chiamata Consulta araldica, sono anche persone colte, molto perbene: ti inseriscono nel Libro d’Oro della Nobiltà, arriva a casa un questionario, tutto sulla fiducia, ti chiedono se il cognome è scritto bene, se è morto qualcuno dei parenti… vabbè. Comunque ciò che conta è che a Linguaglossa, sull’Etna, fanno i migliori vini siciliani”. Perché Gelasio Gaetani è soprattutto un esperto di vini, consulente internazionale, e lo è diventato in modo avventuroso, come lo è stato tutto nella sua vita.

 

Se per creare il fascino vero bisogna aver fatto fuori almeno un paio di patrimoni familiari, Gelasio è partito avvantaggiato, su rovine prestigiosissime. “Quando ero ragazzo abbiamo perso la casa di famiglia, il palazzo Gaetani-Lovatelli, dietro largo Argentina, a Roma, che prima era Caetani” (e te pareva) “e papà ci porta a vivere in campagna” (premessa: il padre, don Loffredo, perde tutto, “e neanche come molti del suo giro, divertendosi, al gioco. No, truffato dai suoi vecchi commilitoni, che gli gestivano il patrimonio”). “Così finiamo ad Argiano, tenuta di milleduecento ettari nel Montalcino”. Oggi l’immane tenuta che non è più sua, “è tutta spezzettata e ci sono delle ville pazzesche di ricchi. Ma all’epoca era ancora una realtà feudale. Lì mi sono appassionato a questa vita contadina. Mi metto a girare col furgone a vendere il vino, il primo Brunello”.

 

Si iscrive ad Agraria a Grosseto. “Ma senza dare neanche un esame, come sempre nella mia vita”.  Presto anche la tenuta di Argiano finisce in vendita, nel buco nero della gestione paterna, e  nel frattempo viene convocato da una feudataria vicina e liquida, Noemi Marone-Cinzano, dinastia del vermouth, che invitava a un gran party tutti i vicini proprietari di casa per il cinquant’anni del padre, conte Alberto. Ma conte vero o finto? “Vero, vero, perché il nonno in seconde nozze si è sposato con l’infanta di Spagna, e quindi il re d’Italia per dargli una mano gli aveva dato il titolo. Com’era giusto, perché era un grande imprenditore, aveva fondato la Cinzano”. Funzionava così, insomma. “Be’, è come se l’avesse fatto Cavaliere del lavoro”. Però vuoi mettere come suona meglio conte di Cavaliere del lavoro? Insomma il giovane Gelasio si presenta al ballo, e scocca l’amore con l’erede Cinzano appena uscita dal collegio svizzero di Le Rosey.

 

Finirà in un colossale matrimonio, presente l’infanta. E tutti gli Agnelli, Avvocato compreso, Avvocato che era parente e autorità morale di casa. “Ma io non ero tagliato per il matrimonio”, dice Gelasio, ed è un altrettanto colossale understatement perché si sa che è stato ed è homme à femmes, anche se non l’ammetterebbe mai. Si dice che a un certo punto a Roma per testare la tempra delle giovani “bien” fidanzate, prima di sposarle, le mettessero alla prova con un breve viaggio in macchina o meglio ancora moto con Gelasio. Poche superavano lo stress test. “Ma no, ma cosa vuoi, sono leggende, figuriamoci, alla mia età”, dice lui nella sua mimetica: ma insomma dopo la festa Noemi lo invita a fuggire in Brasile “ma io parto nel frattempo con Edoardo per il monastero di Santa Caterina nel Sinai” (Edoardo è naturalmente Agnelli, e Gelasio è anche il protagonista del documentario su Edoardo, “Il pezzo mancante”, uscito qualche anno fa, che si fece insieme). 

 

Gelasio è stato infatti uno degli amici-protettori dello sfortunato erede Fiat, “Quando venne a studiare a Roma, Marella Agnelli chiamò le sue amiche a raccolta e gli chiese di presentargli i figli”. Tra le amiche, la mamma di Gelasio. “Era bellissima e ricchissima”. Lorian Franchetti, figlia del mitico barone esploratore Raimondo, di cui Gelasio ha preso il lato chatwiniano, viaggi nei deserti del mondo e avventure sabbiose. I fratelli Franchetti, Tenenbaum veneziani, si chiamavano Nanuk, Afdera, Lorian, Simba.  E lì, memorie hemingwayane tra la laguna e New York (con la zia Afdera già signora Henry Fonda). “Noi siamo reperti di vecchie epoche”, dice Gelasio. E tra quelle più recenti ecco gli anni Settanta, “in motorino, alle feste con Edoardo. I fratelli Gaetani, Matteo Spinola, e poi Giovanni Sanjust di Teulada”, altro personaggio leggendario “tra queste giacenze di famiglie nobili”, l’ho conosciuto, si portava l’olio di oliva da casa per condirsi l’insalata al ristorante, e già che c’era ci si frizionava i capelli di cui era fierissimo, nello sgomento dei camerieri. “I Sanjust erano quattro fratelli, tutti molto belli, ma lui l’unico non pelato”. A un certo punto marito di Antonellina Interlenghi, e pure allevatore di galline da collezione in una specie di roulotte a Capalbio, lui stesso detto “fagiano”, “perché aveva una speciale conformazione, testa piccola, spalle larghissime, vita strettissima”, e c’è un biglietto che ho visto una volta da Gelasio, un invito per la festa dei 60 anni di Giovanni, fatta a sua insaputa, e l’invito recitava “l’estate italiana ricomincia”, e la foto di loro due, a torso nudo, in bianco e nero, statuari e bellissimi. La festa poi non si è mai fatta, è rimasto solo il biglietto.

Quello che non si vede nella foto sono le sventure, il male di vivere, l’ondata di droga che ha decimato le famiglie “bene” romane negli anni Settanta e Ottanta. I fratelli Gaetani poi hanno rappresentato una specie di kennedismo romano tra bellezza e aristocrazia e disavventura. Gelasio è l’unico sopravvissuto dei suoi fratelli: Roffredo era il leggendario pugilatore e concessionario Ferrari che se ne andò finendo fuori strada vicino Argiano, Cristoforo buttandosi con un paracadute, Luca cadendo da un ponte sul Tevere. “Quando morì Roffredo i giornali toscani titolarono ‘Nobile muore in incidente d’auto’, come se fosse  una star”, ricorda Gelasio malinconico. Lui però era una star.  Sfidò infatti a duello Mickey Rourke, allora all’apice della fama, per la modella Carré Otis, e “ebbe una storia con Ivana Trump, sì, tanti anni fa, ma è tutta roba detta e ridetta”.  In America, insieme, i due fratelli. “Quando mi sposai, mi venne  il complesso del suocero serio; ho dovuto diventare serio anch’io, allora sono andato a Napa Valley a fare il vino”; e lì, anche, il delicato incarico di creare la cantina di Sharon Stone, allora moglie del direttore del San Francisco Chronicle. “Un’amica... Sorvoliamo”. Ma prima, a New York,  con Roffredo: “faceva i lavori più disparati. La mattina andava a scaricare ai mercati generali, gli piaceva tantissimo. Stava nella cameretta dei bambini con mia figlia, le  cambiava i pannolini. Poi ha studiato un po’ recitazione, ma doveva aver fregato la moglie a qualcuno di grosso, per cui gli dissero che era meglio se cambiava aria. Poi è andato a lavorare alla Ferrari, e l’Avvocato, che gli voleva bene, gli aprì due concessionarie, una a Manhattan e una a Long Island”. In cambio Roffredo era fedele alla casa madre: a un certo punto Ramona Ridge, famosa modella, amica dell’Avvocato, si sposa con uno sceriffo del Texas, che la maltratta. Telefonata dal centralino Agnelli, in funzione anti-femminicidio: Roffredo, penso che devi andave su un attimo in Texas, e Roffredo va su in Texas, e riempie di botte lo sceriffo. Il mondo di Gelasio è così, botte e blasoni, cadute e risalite da Bud Spencer, ma i cattivi non sono cattivi davvero. 

Il gioco è un’altra manifestazione dell’aristocrazia. Che va preso serissimamente. C’è chi ha la Playstation e chi viaggia su coreografie più complicate. “L’uomo più ricco del mondo”, film inglese a cui partecipò, “ma io non sono certo l’uomo più ricco del mondo, tentai di dire, ma loro mi volevano a tutti i costi,  allora lo facemmo lo stesso”, dice Gelasio, arreso al cliché; “mi feci imprestare la barca da Leonardo Ferragamo, ed eccomi entrare in porto, al timone, capelli al vento, anche se di vela non ci ho mai capito un cazzo. Poi ho chiesto a Nicola Bulgari di girare una scena in gioielleria, ma le guardie mi hanno fermato, pensando che fossimo dei ladri, con la scusa del film. Finii però sull’How to spend it del Financial Times. Mi chiamò Bini Smaghi: io è una vita che vorrei essere sulla copertina del FT”. 

Visto che il nostro posto è fuori dal tempo, tanto vale prenderlo in giro, questo, di tempo, sembra dire Gelasio. Degli amici dice spesso: questo “sta chiuso”: di questi nobili di gran nome che se ne stanno rintanati e arresi al presente. “Sono persone fragili, che stanno chiuse, in qualche palazzo, o in campagna. Sopravvissuti, qualcuno trasformato in manager, facendo danni pazzeschi, altri infilati nella Dolce Vita, diventando personaggi alla Dado Ruspoli. Invece quelli che nascono oggi coi grandi cognomi non gliene frega niente, soprattutto sono persone più preparate, non fanno i casini che abbiamo fatto noi”.

Insomma i veri nobili oggi, chi sono, per fare questa domanda da Panorama anni Ottanta? “Ti potrei dire le persone oneste, chi fa i sacrifici per far laureare i figli, o altre cose ipocrite e paternalistiche. Mi piace di più però il termine ‘aristocratico’, perché ‘nobile’ ha un significato morale. E non c’è niente di morale nell’essere aristocratici. Gli aristocratici sono persone che stanno tra di loro, che creano un mondo speciale. Oggi l’aristocrazia non si sposa di più tra sé, ma sposa i grandi finanzieri, i banchieri: si frequentano solo tra di loro. Nessuno vuole essere un outsider”.   

Il matrimonio salvifico però a lui non gli è riuscito. “Io avrei dovuto salvare la famiglia con queste nozze, ma poi ci siamo separati e l’azienda se l’è tenuta lei e poi l’ha venduta. Ma meglio così, sarei diventato uno di questi produttori di vini tromboni che parlano solo del loro vino; meglio così”. Del resto difficile  immaginarlo, Gelasio, tra i nuovi ricchi del vino che si inventano i blasoni. Si separa, ma oggi è amicissimo della sua ex moglie, “e sono felicissimo, coi figli, i nipoti che adoro, e certo vorrei partire, ma loro mi vogliono qui”. Infatti vive nomadicamente pieno di taccuini, foto e memorie, cartoline che assembla in bizzarri collage, e questo è tutto il suo bagaglio. “Invece mia figlia mi vuole qui, vuole a tutti i costi che mi prenda una casa. Ha paura che scappi. Mentre io vorrei riprendere qualche giro per il mondo, prima di essere completamente rincoglionito”. I genitori in fuga sono un classico di quella generazione. Certo, il mezzo di fuga faceva la differenza: a un certo punto la moglie Noemi va dall’Avvocato Agnelli ad annunciargli l’intenzione che si separerà da Gelasio, e per di più ha deciso, andrà a vivere in barca ai Caraibi. Chissà come reagirà l’Avvocato a questa notizia catastrofica. Reazione dell’Avvocato: “Sì, ma quanti metvi, la bavca?”. 

Altre navigazioni: “Suni Agnelli che sbarca al Giglio” (dove i Gaetani avevano la casa più bella dell’isola) con uno strano gruppo di ospiti: “il suo compagno Guido Carli, Lex Barker, l’attore americano che faceva Tarzan, e Maximilian Schell.” Forse la nobiltà in fondo è questo: avere ricordi diversi da tutti gli altri. Come ce li avranno i figli di Gelasio cresciuti in barca: due anni di navigazione, “con una bambinaia che gli faceva la scuola”. Tre figli ufficiali, Lapo, avuto prima, giovanissimo, e poi Iacobella che oggi disegna borse, e Cristoforo “che vive nella foresta amazzonica, fa il maestro di yoga”. “A nessuno di loro importa niente di queste cose della nobiltà, Cristoforo l’ho iscritto io al Circolo della Caccia, lui non sa neanche cos’è. Il vecchio principe Gaetani, Ferdinando, e un altro principe, Filippo del Drago, cooptati per presentarlo. A quel punto ci facciamo invitare a colazione, da Cristoforo, perché solo i soci possono invitare, e andiamo tutti lì (tra i vecchi camerieri in polpe che ti chiamano col titolo), insomma siamo seduti a colazione e arriva uno di questi vecchi nobili romani un po’ fessi, per fare lo splendido, ‘guarda che se hai bisogno ti consiglio un buon barbiere’, dice a mio figlio. Lui da allora giustamente non ci vuole più mettere piede (invece al circolo dell’Unione a Firenze, ero socio, ma non pagavo le rette da anni, una volta mi son presentato con dei clienti americani importantissimi, son arrivato lì e mi han cacciato, una figura”, e ride). Meglio la giungla amazzonica, insomma, dei circoli nobiliari? Dipende.  “Cristoforo mi ha fatto fare il rito sciamanico del veleno della rana, un dolore, credevo di morire”.

E Roma? “Roma ti dà uno schiaffo in faccia, appena rientri da Fiumicino, ogni volta. Mi piace qui, l’Esquilino, mi trovo bene, anche se devo riempirmi le tasche di spiccioli per i questuanti,  se non li do a tutti poi mi sento in colpa.  In centro invece non riesco ad andarci. Non ci sono più negozi, solo souvenir. E poi incontro sempre qualche vecchio aristocratico, qualche vecchio principe, che mi viene incontro, come un fantasma”.
 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).