Come cambia il lavoro /3

La vita dopo la pandemia secondo Stefano Boeri

Ha precorso i tempi con il "Bosco verticale", l'edificio sostenibile esportato in tutto il mondo. Oggi l'architetto parla del superfluo, e dice che si impone come "bisogno di piccole cose subliminali implicite"

Marianna Rizzini

L'ignoto, la morte, la fluidità dello spazio e del tempo. I quaranta giorni che hanno sconvolto la nostra scala di "vicinanza" agli eventi e il bisogno di fare. "Dobbiamo tornare in presenza, a contatto diretto nei nostri uffici", dice l'architetto

“Una strana sensazione di deformazione del tempo” vissuta durante e dopo il lockdown. Così Stefano Boeri, architetto di fama internazionale e urbanista descrive l'esperienza pandemica. “Ci siamo ritrovati improvvisamente con quaranta giorni di ritardo rispetto alla Cina e quaranta di anticipo rispetto al resto dell'Europa. E con l'impressione immediata di una grande fragilità di fronte allo spalancarsi di una nuova dimensione dell'ignoto”. Non a caso, dice Boeri, la prossima Triennale, in programma nel 2022, avrà il titolo simbolico di “Unknown Unknowns”. E non è soltanto l'ignoto, a imporsi come tema – tema che non scompare con la riduzione dei contagi. C'è infatti anche l'altro elemento: “Abbiamo dovuto imparare a fare i conti con la morte, direttamente o indirettamente, a livello privato e pubblico. Solo il mondo della cultura, a Milano, ha perso figure come Celant, Mari, Gregotti, Gastel… Di fronte all'ignoto e alla morte non si può tornare indietro come se nulla fosse: è qualcosa di enorme che crea una discontinuità profonda tra un prima e un dopo, e influenza quello che fai”.

 

Non è diverso tanto il contenuto di quello che si fa, a cambiare, dice Boeri, che come architetto di città verdi e biodiversità già parlava da molto. “E' vero che la tripartizione casa-lavoro-tempo libero non è più tale, e la contaminazione tra queste tre categorie impone una ridefinizione degli spazi e della mobilità. Ma a cambiare è soprattutto la percezione: questa distorsione del tempo, assieme alla simultanea presenza della morte come possibilità, ci fa percepire alcune cose come più urgenti, mentre sembra quasi impossibile spingere lo sguardo molto oltre il presente. Sentite più qualcuno parlare di 2050? E' come se non ci si accontentasse di ragionare su scadenze talmente lontane da diventare astratte. Bisogna fare, e fare subito, che si tratti di migliorare la qualità dell'aria o di governare un paese. Ogni atto progettato lo misuriamo secondo una scala di vicinanza diversa, la scala di un futuro istantaneo”.

 

Si avverte anche un'insofferenza per quello che prima sembrava fondamentale nella giornata lavorativa, dalla trasferta alla riunione fiume, e per quello che si percepisce, a ritroso, come superfluo nella vita privata. “Io però sono un grande cultore del superfluo”, dice Boeri: “E' vero che si è imposto il tema della fluidità tra luoghi e tempi nella vita quotidiana, una fluidità che porta a ridurre lo spazio dell'ozio, della disattenzione e della consuetudine, persino, in uno slittamento continuo di funzione. Accadeva già prima: lavorare dal letto o dal balcone, parlare d'amore stando in ufficio. E ora questa fluidità sembra dilagare, attraverso l'obbligata alfabetizzazione digitale. Ma questo non può in alcun modo togliere importanza al superfluo inteso come insieme delle piccole cose subliminali implicite nel contatto diretto: lo sguardo, la gestualità, la postura. Abbiamo estremo bisogno dell'implicito non verbalizzato. Per questo dobbiamo tornare in presenza, a contatto diretto nei nostri uffici”. Cosa tanto più vera per il lavoro dell'architetto: “Il nostro è un lavoro collettivo, quello che non è verbalizzato è importante”. Un lavoro collettivo, quello dello studio Boeri che, anticipando i tempi, era già arrivato dove i tempi ora ci portano con il “Bosco verticale”, l'edificio che a Milano riassume il concetto di città ecosostenibile, tanto che ora in tutto il mondo fioriscono cantieri di boschi verticali, da Anversa all'Egitto, passando per l'Albania. La città foresta e il social housing (“spazio di vita- spazio di comunità”, dice Boeri). due parole per il “futuro istantaneo”. 

 

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.