Mario Draghi durante le consultazioni. Sulla scrivania "il facciario" dei politici (Ansa) 

Draghi immerso nel "facciario" dei parlamentari è la prova che la fama che vi regalano i social è farlocca

Fabiana Giacomotti

Il premier incaricato che si affida all'elenco fotografico dei peones sembra Meryl Streep mentre si fa suggerire dalle assistenti il nome degli invitati nel "Diavolo veste Prada”. Ennesima prova del divario incolmabile, talvolta grottesco, fra le figure ai due lati della scrivania

Quando abbiamo visto il premier incaricato Mario Draghi con il volto impassibile rivolto al facciario dei semi-conosciuti che gli sarebbe toccato incontrare alle consultazioni ci è balzata alla memoria – perdonate, arriviamo dal reparto balocchi e profumi – l’espressione immota di Meryl Streep nei panni di Miranda Priestly, mentre si fa suggerire dalle due assistenti alle sue spalle il nome degli invitati meno importanti al ballo ne “Il diavolo veste Prada”. La faccenda del “book of guests” occupa cinque minuti buoni di sceneggiatura e si squaderna i due album interi di gente irrilevante che Emily Blunt e Anna Hathaway sono costrette mandare a memoria perché la boss, ospite della serata al Metropolitan Museum, li possa accogliere tutti con sorrisi e felicitazioni, mostrando dunque quella buona creanza che solo pochissimi trascurano, per ignoranza o come segno di sprezzo o di pura stupidità, perché solo gli sciocchi fingono di ignorare chi ritengono inferiore a loro, senza neanche ipotizzare che il futuro potrebbe riservare loro delle sorprese.

 

    

Ci sono pochissime menti felici a cui il facciario non è mai stato necessario: per esempio Silvio Berlusconi, dotato di una memoria prodigiosa per accoppiare volti e nomi e anche di infallibili trucchetti per evocarli (“sono Maria, si ricorda di me?” Certo che mi ricordo di lei, cara Maria. E’ il cognome che in questo momento mi sfugge”). I campioni di memoria, fra cui la giovanissima indiana Sri Vyshnavi Yarlagadda, usano l’antica tecnica del “palazzo della memoria” finalizzata nel Cinquecento dal gesuita Matteo Ricci che a Draghi non sarà di certo ignoto; altri, la tecnica dell’acrostico (l’indimenticabile “macongranpenalereticalagiù” che ancora adesso, cinquant’anni dopo la frequentazione della scuola primaria, ci permette di evocare tutto l’arco alpino).

 

Ma è un fatto che in Parlamento il facciario sia strumento utile al riconoscimento dei peones da qualche decennio, tanto che il Devoto Oli ne dà una definizione con marca d’uso gergale, ma molto precisa, come “repertorio fotografico dei parlamentari, di cui si servono i commessi per riconoscere deputati e senatori”. Insomma, un Facebook ante litteram, e dopotutto anche Facebook (o “faccia libro” come lo chiamano appunto gli spiritosi) agli albori è stato un derivato degli annuari in uso nelle università da tempi lontani per permettere alle matricole di riconoscere professori e figure istituzionali.

 

Comunque sia, Draghi immerso nel facciario parlamentare è la prova che la fama che vi regalano i social è farlocca. Che a Facebook rispondono solo i vostri quattro amici e che su Twitter trovate seguito solo se rilanciate l’hashtag di tendenza, il trend topic del momento. E questo vale anche a prescindere dall’evidenza che Draghi non abbia alcun account ufficiale o personale a proprio nome.

 

E’ che la fama vera continua a rispondere a regole ben precise: che si parli di voi, da molto tempo, sperabilmente per meriti molto evidenti e riconoscibili e incontestabili: per ipotesi, il premier in pectore avrebbe riconosciuto Paolo Sorrentino o Liliana Segre anche se li avesse incontrato a palazzo Chigi, cioè extra contesto. La genia dei Ciampolillo gli era invece ignota, come era ignota a Giuseppe Conte che, anche lui, fece appello al facciario per le sue prime consultazioni. Con una differenza: che la non conoscenza fra il premier incaricato e le delegazioni era reciproca. Per questo motivo, il facciario che non sollecitò affatto l’interesse dei fotografi allora, nel maggio del 2018, li ha invece stuzzicati adesso, come ennesima prova del divario incolmabile, talvolta grottesco, fra le figure ai due lati della scrivania.

  

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