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Retoridemia. Urge un vaccino anche contro la retorica

Saverio Raimondo

C’è chi dice che a marzo fosse peggio (“E’ come una guerra”, “Andrà tutto bene”, “Ne usciremo migliori”, applausi alla finestra e inno nazionale sul balcone), ma la verità è che la seconda ondata ha la stessa carica retorica della prima, forse persino più insidiosa

Scusate se parlo di me, e sopratutto se non lo faccio da una terapia intensiva come si usa adesso – se è per questo manco dalla sala d’attesa del mio medico di famiglia, bensì semplicemente da casa mia. Gli ultimi giorni li sto passando prevalentemente in lockdown (esco solo quando è necessario per far girare un po’ l’economia: la mia e quella degli altri), collegato con l’esterno tramite tv, internet e stampa; e a causa loro il saturimetro che misura la quantità di retorica nell’aria  – proveniente da editoriali, post sui social o talk-show – ha registrato livelli preoccupanti. Sono dunque andato a farmi una radiografia, che ha evidenziato un allarmante versamento di latte alle ginocchia: se questa infiammazione dovesse salire fino alle gonadi mi provocherebbe un’orchite da Covid, con possibile rottura dei “cosiddetti”.

 

 

Si parla molto dell’epidemia, all’inizio si era anche detto qualcosa sull’infodemia, ma nessuno dice mai niente sull’altra emergenza in corso: la retoridemia, che provoca stanchezza ed esaurimento ben più di obblighi e divieti. C’è chi dice che a marzo fosse peggio (“E’ come una guerra”, “Andrà tutto bene”, “Ne usciremo migliori”, applausi alla finestra e inno nazionale sul balcone), ma la verità è che la seconda ondata ha la stessa carica retorica della prima, forse persino più insidiosa. Prendiamo tutti gli ex intubati intervistati sui giornali o ospiti in tv: che senso hanno le loro testimonianze, intercambiabili le une con le altre, se non l’esibizione moralista e maliziosa del fenomeno da baraccone, del caso umano spaventapasseri, del “più giovane intubato d’Italia” – parafrasando una battuta di Woody Allen sull’Olocausto, “i record sono fatti per essere battuti”.

 

Non ci stanno capendo molto gli scienziati, figuriamoci i pazienti. Oltre tutto cos’ha da dire chi è stato o sta male, a parte che è stato o sta male? Ma soprattutto, io che gli faccio? (Comunque sia, ammesso e non concesso il valore della testimonianza, andrebbero ascoltate solo le donne: i maschi sono moribondi già a 37.2 per una banale alterazione, figurati per un virus potenzialmente mortale). Per non parlare dell’emergenza nell’emergenza: i vip contagiati, che si affrettano a far sapere al mondo, tramite social o agenzie di stampa, di essere positivi. Fra la malattia come stigma e la malattia come status symbol da esibire in mancanza d’altro ci passano più sfumature che in un cielo striato durante un tramonto; e il Covid non è un’influenza come voi non siete degli influencer – non a caso il premier Conte per promuovere l’uso delle mascherine ha chiamato Fedez e la Ferragni, stop.

 

 

Io non sono Vespignani ma credo di non sbagliare se dico che Nina Zilli, Nunzia De Girolamo, Federica Pellegrini, ecc. bastava avvisassero della loro positività l’Asl, il medico di famiglia e i loro contatti; noi altri più che pregare per loro non sappiamo che fargli. “Bisognerebbe vedere cosa succede nelle terapie intensive”, dicono i retori. E invece no, bisognerebbe seguire le regole e prestare attenzione alla propria e altrui salute senza bisogno di vedere niente, per raziocinio e non per emotività, anche perché se vuoi vedere basta che vai su Google Immagini e cerchi “terapia intensiva”, ne escono quante ne vuoi. Propongo, oltre alla mascherina obbligatoria, d’indossare anche dei tappi per le orecchie al fine di proteggersi da tutte queste banalità; e di abbinare all’essere distanti l’essere distaccati. Tutto questo nell’attesa speranzosa che, dopo quello per il Covid, qualcuno trovi anche un vaccino contro la retorica.

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