Luoghi e volti del lockdown

La fotografia ha messo a fuoco bene l’essenza della nostra quarantena

Bianca Maria Sacchetti

Da Instagram ai progetti fotografici corali, dalle panoramiche aeree delle città deserte al grande bianco su muri e monumenti, dovuto allo stop della pubblicità urbana: la fotografia al tempo del Covid è stata di certo caratterizzata da una finestra d’azione ristretta, vista la reclusione domestica, ma al contempo ha vissuto la sua stagione più ispirata, dato il periodo senza precedenti.

Lo scatto del Papa a piedi lungo una via del Corso mai tanto vuota o il selfie Instagram dell’infermiera toscana, Alessia Bonari, con il volto segnato a causa del prolungato utilizzo della mascherina protettiva: sono tutti “angoli del presente che fortunatamente diventeranno curve nella memoria”, come recitava De Gregori in Viaggi e Miraggi. Fortunatamente, perché infatti andremo avanti e metabolizzeremo la pena e la malinconia di quei fotogrammi, che hanno raccontato così bene un’Italia colpita al cuore. 

 

 

“Ancora una volta Instagram, e il digitale in generale”, afferma Martina Valerio, founder di StandOut, web agency con base romana “ha unito virtualmente milioni di italiani, mostrando lo spaccato di un paese e lanciando messaggi di speranza. Un vero diario che ha registrato con l'hashtag #iorestoacasa oltre 3,8 milioni di contenuti. Tra le tendenze più attive ci sono le foto dei balconi con gli striscioni andrà tutto bene e le fotografie social, da quelle degli operatori sanitari stremati in corsia a quelle delle finestre con lenzuola arcobaleno, hanno affiancato e arricchito la banca immagini dei media tradizionali”. 

 

I piccoli perimetri e le poche ore d’aria hanno attivato, a tutti i livelli, un flusso creativo compensativo, alla ricerca di espressione e libertà, che proprio nella fotografia ha identificato il suo strumento di indagine preferito. Nessuna gabbia dunque per l’arte più democratica, come la definì Toscani, che in questa primavera è riuscita a racchiudere tutti i mondi possibili, immortalando non solo la tangenziale spettrale, le serrande abbassate e il Colosseo senza turisti, ma anche gatti, cucine, salotti, terrazzi e soprattutto le nostre facce, qui e ovunque. Ed ecco che, in un aprile in cui quasi l’intero pianeta era in paralisi da lockdown, la fotografa Ilaria Magliocchetti Lombi - ritrattista per le più importanti riviste italiane - ha voluto vederci meglio, più a fondo, entrando nelle vite delle persone ai quattro angoli del globo. Lockdown Portraits è il nome del suo ritratto corale, 100 scatti per l’esattezza, di gente in isolamento fotografata, tramite webcam, nel suo ambiente più intimo.

“All’inizio del lockdown mi sono interrogata tanto su quale fosse il mio posto come fotografa in questo momento storico” spiega al Foglio Ilaria Magliocchetti Lombi,“e il passo successivo è stato trovare un nuovo modo di poter fare quello che so fare: i ritratti. Ho usato gli unici mezzi a disposizione, gli schermi, nel rispetto del limite imposto di rimanere a casa. Mi è interessato immediatamente l’aspetto globale dell’esperienza, quindi non solo l’Italia”, prosegue la Magliocchetti, “volevo sapere cosa pensasse la gente nel mondo, come stesse vivendo, quali fossero le differenze tra i vari paesi nel rispondere all’emergenza. Cosa è emerso? che siamo tutti stati connessi e, al di là delle importanti differenze geografiche, sociali ed economiche, abbiamo vissuto una fortissima esperienza collettiva. Il mio lavoro è una finestra su questo e sui 3 miliardi di persone che sono state costrette a rimanere a casa”.

 

E se in alcuni casi la pandemia ha fornito inediti punti di vista e stimolato l’estro, in altri ha imposto la creazione di nuove grammatiche. Come è accaduto con la fotografia pubblicitaria, compresa quella della cartellonistica, per settimane grande assente oppure rimasta congelata ad affissioni pre-emergenza, invernali, anacronistiche e scrostate. É necessario coniare un linguaggio diverso per seguire con tempismo le tracce di una società in continua trasformazione e, a tratti, anche in contraddizione. Distanza vicinanza, uniti ma ognuno a casa propria, siamo un popolo di eroi ma massima vulnerabilità: solo un miracolo può rendere possibile la convivenza di tanti opposti in uno solo scatto da pubblicità? Non un miracolo ma una buona copy strategy, tarata sull’oggi e con una visione lungimirante, in cui la città non sarà più il tempio del consumo e il cliente diverrà parte integrante delle scelte comunicative. 

 

“Per la pubblicità la sfida è stata quella di dover fare i conti con la necessità di comunicare una vicinanza distante”, dichiara il copywriter Franco Vittori. “Un ossimoro non facile da rappresentare ma che ha spesso trovato la sua giusta traduzione nel senso di familiarità. Familiarità veicolata da immagini calde, positive ed emozionali, tanto da far percepire il brand come uno di noi. Diventa allora molto importante la figura del prosumer, ovvero il cliente, che assume un ruolo attivo nel processo creativo e presta la sua immagine al marchio per realizzare il prodotto pubblicitario, dimostrandoci ancora una volta come il coinvolgimento diretto sia sempre più la chiave di un progetto vincente”. 

 

Non sembrano quelle che conosciamo le città al centro delle numerose avventure fotografiche realizzate durante la quarantena, condizione ideale per tutti coloro che, potendolo fare, hanno scelto come soggetto l’assenza, quindi linee e sensazioni di una geografia urbana priva di passaggio pedonale o traffico. Scenari distopici degni di un film su un futuro senza uomini, la città torna alla città, Roma si riprende Roma, Milano Milano e tante le gallerie di foto che hanno saputo trasmettere la pace sacrale di quelle piazze senza più folla, in cui piccioni e gabbiani sono stati gli unici padroni. Una calma apparente nelle innumerevoli strade silenziate dal Covid, la stessa che riempie l’aria quando sta per arrivare un uragano: l’immobilismo innaturale di quelle lunghe ore, che ci ha strappato dalle nostre abitudini e dai nostri luoghi, non sarà facilmente rimosso e metabolizzato e, proprio attraverso l’esperienza fotografica, di chi scatta ma anche di chi guarda, sarà in parte possibile recuperare quanto c’è di smarrito ed esorcizzare la paura e la frustrazione del lockdown. 

 

“Durante questi mesi è stata più forte che mai la necessità di esprimerci attraverso la fotografia” affermano le fotografe Giulia Natalia Comito, Angelina Chavez, Giulia Lupi, Barbara Santoro, “insieme alla voglia di essere utili alla comunità. Abbiamo provato a unire le due cose e, verso la fine di aprile, in accordo col Forum Terzo Settore Lazio, siamo andate in giro per Roma a scattare immagini, che oggi si possono comprare con un piccolo contributo, di cui tutto il ricavato sarà destinato ai progetti del Terzo Settore Lazio. Ognuna ha seguito un percorso diverso: chi si è persa tra i parchi della città, chi tra i vicoli e le piazze del centro, chi per le strade di solito abitate dal caos urbano. Ognuna con i suoi soggetti ma tutte alle prese con la stessa grandezza del vuoto che riempiva gli spazi abitualmente condivisi. Abbiamo cercato di raccontare una città che, malgrado fosse la nostra, sembrava lì per la prima volta. Una città sospesa, durata un attimo infinito”. 

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